11 luglio 2006

Generazione De Carlo, il successo dell’autobiografia

di Cinzia Fiori

La sua generazione è cresciuta con lui, ritrovandosi nei suoi libri. E tutti i suoi romanzi sono diventati bestseller. Eppure non scrive narrativa di genere e non è mai ricorso all’espediente della trama gialla per indurre i lettori a seguirlo. È il caso De Carlo, un’anomalia italiana da centomila copie a titolo. Ne ha pubblicati tredici, uno dei quali, Due di Due, è un longseller, che da diciassette anni i ragazzi si passano di mano. Ogni volta, dal 1981, quando a 29 anni esordì con Treno di panna, la sua esistenza è diventata materiale narrativo. Con un autobiografismo che non nasconde, Andrea De Carlo ha raccontato se stesso, i casi suoi. E i casi suoi sono sempre risultati paradigmatici. Il suo tredicesimo romanzo è il primo a non veder protagonista un suo alter ego; anche se i quattro professionisti che danno vita al libro potrebbero benissimo essere suoi ex compagni di liceo, dei potenziali De Carlo arricchiti e nevrotici, che vivono dei simboli del denaro e parlano la lingua vuota delle loro carriere. Questa volta l’autore si è divertito a portare nella storia un personaggio reale, l’amico percussionista Arup Kanti Das. Nel testo, è l’indiano che occupa assieme ad altri una cascina umbra messa in vendita. Ma ciò non ha nulla a che fare con l’autobiografia. Giro di vento nasce da un’avversione. Il motore del libro è il disagio di De Carlo, sorto quando, dopo la lunga stagione dei soggiorni all’estero, s’è ritrovato ad abitare un’Italia che non gli piaceva. Così ha inventato Luisa, Enrico, Margherita e Arturo, ossia la direttrice editoriale, l’architetto, la starlette televisiva e l’arredatore che partono un venerdì da Milano, destinazione Umbria. Vanno a comprare un antico casolare per trascorrere i weekend insieme, come ai bei tempi. Alla guida della monovolume che scende verso la campagna sta Alessio, agente immobiliare di lucrose speranze. L’ironia dei quattro sul suo rampantismo diventa livore in Umbria quando, nei pressi della proprietà in vendita, la macchina finisce in una buca di campagna e si rompe. I cellulari non prendono, fa freddo, la notte è calata e piove. Il quintetto deve cercarsi a piedi un rifugio. È il primo atto di un tranquillo weekend che comincia a girar storto e diventa di paura non appena trovano un tetto. Immersi nella penombra delle luci a olio, scoprono di trovarsi nella loro futura casa e di essere ospiti sgraditi della piccola comunità di autarchici che l’ha occupata. Giro di vento è un romanzo molto strutturato. Sembra nato per il cinema. Capitolo dopo capitolo, è un progredire di colpi di scena, che minano per gradi le sicurezze dei protagonisti. Ciascuno degli ex ragazzi di città inizia in qualche modo a sentirsi fuori posto riguardo alle sue scelte, a come vive, a chi è, a com’è diventato. Le inquietudini personali si diffondono in un continuo rimbalzo di azioni e reazioni stizzite. La diffidenza è una costante delle relazioni tra i due gruppi, gli integrati e i ribelli, che da estranei si confrontano nel romanzo. A fine weekend, il destino di ciascun componente del quintetto sceso in Umbria sarà largamente influenzato dal suo grado di apertura agli «estranei». Giro di vento è un libro «visivo», il narratore fotografa il mondo e lo rimette in gioco sulla pagina. Persino i pochi cenni psicologici si risolvono in immagini. Lo sguardo di De Carlo è spietato. A renderlo tale è la molteplicità dei particolari riportati, la descrizione minuziosa delle sensazioni in campo. Per dirla con Calvino, c’è «una particolare acutezza dello sguardo che afferra e registra un enorme numero di particolari e sfumature (...) ingigantiti come attraverso una lente d’un teleobbiettivo». Lo scriveva nell’introduzione a Treno di panna, il libro con cui De Carlo esordì nell’81. Per lo stile, Giro di vento è il romanzo più vicino a quel primo, che tante critiche lusinghiere raccolse. Anticipava di qualche anno la stagione del minimalismo americano. Ma allora quel che importava era altro. Con De Carlo, Tondelli, Palandri debuttava una generazione di scrittori decisa a far riferimento alla vita prima che alla tradizione letteraria. La loro era una narrativa retta dall’individualità emotiva dell’autore, al centro stava la realtà non come problema ma come luogo di identificazione. Il segreto del lungo successo editoriale di De Carlo abita qui. E lo scrittore, che con Giro di vento ha voltato le spalle all’autobiografismo, ha mutato il modo di strutturare il romanzo e cambiato editore (passando a Bompiani), è dovuto tornare ai giorni dei suoi esordi per trovare le parole, anzi «lo sguardo» necessario a scrivere la sua svolta.

«Corriere della sera» del 10 luglio 2006

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