14 luglio 2006

Gioventù ingannata

di Paola Mastrocola
Apprendiamo con gioia, da tutti i giornali di ieri, che i nostri giovani sono bravissimi. Eccezionali, geniali: finiti gli esami di maturità, quasi nessun bocciato (solo l'1,1%, nei licei) e tantissimi col punteggio massimo: pare che il 10-13% abbia preso il mitico 100 su 100. Bravi, complimenti! Complimenti anche alla scuola italiana, che ingiustamente alcuni si ostinano ad accusare e che invece pare funzionare benissimo, se sforna tali e tanti geni.
Ma… non eravamo tra gli ultimi nei risultati PISA? I test PISA registrano ogni anno, con criteri omogenei, le performances scolastiche degli studenti di tutti i paesi sviluppati (OECD) e negli ultimi anni ci dicono in modo drammaticamente chiaro che l'Italia è agli ultimi posti: in Europa i nostri ragazzi sono addirittura i penultimi in assoluto, davanti soltanto alla Grecia. Insomma, non sanno tanto bene né leggere né far di conto. Però prendono un sacco di 100… Prendono un sacco di 100, però poi stentano a trovare lavoro, oppure trovano lavori inadeguati.
E quindi, modello Tanguy, restano a vivere in casa fino ai trent'anni e oltre. Come la mettiamo? Non li bocciamo alla maturità, a molti diamo addirittura il massimo dei voti, e poi non li assumiamo? Ma come è possibile? O ci sono forse due realtà, e di volta in volta ci piace vederne solo una? Il voto massimo, da che mondo è mondo, sancisce la massima eccellenza; ma da sempre, le persone ai massimi livelli per impegno e capacità sono poche, per forza di cose. Quindi, cosa stiamo combinando?
Svendiamo i 100? Pensiamo che in fondo un 100 non si può negare a nessuno? Se anche l'eccellenza diventa di massa, c'è qualcosa che non va sul piano logico. Una scuola che non boccia è una scuola che rinuncia a fare la sua parte. Come un medico che non opera il malato, un giudice che non condanna più l'assassino. Si astiene. Delega a un anonimo altro, situato sempre più avanti nel tempo e nello spazio. Posticipa all'infinito il verdetto, lascia che sia poi la vita, la società, il destino individuale di ognuno a decidere, a sancire virtù e debolezze. Intanto a noi piace rendere tutti i nostri allievi felici: nessuno ha perso, nessuno paga.
Alle elementari tutti promossi, ci penseranno gli insegnanti delle medie; alle medie tutti promossi, ci penseranno al liceo; al liceo tutti promossi, ci penserà l'università; all'università tutti laureati, ci penserà poi il mondo del lavoro... L'importante è che tutti vadano avanti, poi si vedrà. Se non troveranno lavoro, saremo pronti a incolpare il governo, l'aumento del lavoro precario (che di fatto pare non sia aumentato…), il mammismo italico, la taccagneria delle imprese che offrono stipendi così irrisori… Sarà anche tutto vero. Ma la scuola intanto dovrebbe fare la scuola e non indulgere a meccanismi di facilitazione costante.
Dovrebbe dire la verità ai suoi allievi: se non hai studiato nulla, ti boccio; se non sei eccellente, non ti do 100. Non dovremmo ingannare i giovani, lasciando che incontrino dopo la realtà e incitandoli a vederla sempre popolata di mostri cattivi. Tutto ciò innesca una cultura del piagnisteo e alimenta un eterno vittimismo, da cui è assente ogni senso di responsabilità individuale. Dovremmo invece ribadire concetti semplici, del tipo che ad ogni causa corrisponde un effetto: se non hai studiato, non troverai lavoro perché non saprai fare ciò che ti chiedono, semplice. Inutile che io adesso, illudendoti con voti ipocriti, ti spiani una via che fra tre anni tu troverai sbarrata; meglio fermarti subito, così ti aiuto a ripartire.
E' così difficile? Perché non agiamo in questo modo chiaro e leale? Da una parte, temo che ci sia, sotto sotto, sempre la stessa, intramontabile e obsoleta, ideologia del non discriminare mai, a nessun costo, nessuno. Se tutti avranno 100, non ci saranno più i famigerati migliori e ci sembrerà così di poter meglio assicurare a tutti le stesse opportunità. In realtà, così facendo, non assicuriamo più niente a nessuno, perché togliamo senso a tutto, a voti e giudizi (tanto varrebbe avere più coraggio e abolire esami e votazioni…): i nostri 100 non avranno più alcun valore, nemmeno quei pochi effettivamente meritati.
Dall'altra parte, credo che siamo mossi da una diabolica volontà di autopromuoverci: la scuola, o la sezione, che può vantare pochi bocciati e molti eccellenti viene immantinente promossa a scuola e sezione fantastica: gli insegnanti saranno automaticamente ritenuti ottimi, il dirigente scolastico potrà pubblicare sbalorditivi dati statistici sui dépliant del suo esemplare istituto, e gli utenti faranno la fila per iscriversi lì, accalcandosi smaniosi ai cancelli. Signori per di qua, nessun bocciato e la metà che esce con 100…!
Evidentemente, se funziona tale messaggio pubblicitario, è perché una scuola esigente non la vuole più nessuno. E pensare che un tempo certi "utenti" (che allora si chiamavano padri…) sceglievano apposta per i figli le scuole più dure… Segnali di fumo, non di realtà. Nulla è più reale. E si perpetua il ben noto "patto scellerato" tra studenti e docenti: i docenti promuovono e premiano studenti mediocri, gli studenti accettano e occultano insegnanti mediocri. Il voto che diamo ai nostri allievi - oggi più che mai, visto che gli esami si fanno con le commissioni interne - è un voto che diamo a noi stessi. E' la scuola italiana che oggi si premia e s'incensa: tutti promossi, tutti bravissimi! Tanto poi, quando i giovani si troveranno davanti all'impresa che non li assume, noi insegnanti non ci saremo.
«La Stampa» del 13 luglio 2006

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