03 novembre 2006

Come Google sta vendendo l’anima al marketing

Il guru dell’informatica John Battelle denuncia il nuovo sistema di persuasione occulta
di Carlo Formenti
Accuse di scarsa trasparenza al motore di ricerca «buono»

L’aura di simpatia che ha a lungo circondato Google non era solo dettata dall’efficienza del suo motore di ricerca: per i media e il pubblico la società di Mountain View era l’anti-Microsoft, emblema della «faccia pulita» della Net Economy, campione della libertà di conoscenza nonché della trasparenza informativa, alternativa «controculturale» - in quanto capace di mettere l’innovazione al servizio dell’utilità sociale oltre che del profitto - agli avidi colossi dell’industria hi-tech. Finché gli utenti di Gmail (il servizio di posta elettronica targato Google) si sono accorti che il software «leggeva» le loro mail per inserire annunci «coordinati» con i contenuti del testo, finché i dissidenti cinesi hanno preso atto che, pur di fare affari con Pechino, Google collaborava (come Yahoo e Microsoft) alla censura di Stato, finché le imprese di e.commerce hanno iniziato a sospettare che la posizione dei loro siti nei risultati delle ricerche non fosse priva di relazioni con la partecipazione al programma pubblicitario AdWords, finché i produttori di contenuti hanno iniziato a recriminare per la disinvoltura con cui sono trattati i loro copyright, finché, finché... Google sta dunque disattendendo l’ingenuo ma accattivante motto («don’t be evil», non siate cattivi) che i suoi fondatori hanno eletto a filosofia aziendale? L’interrogativo va inquadrato nella nuova fase in cui sta entrando la rivoluzione digitale. Per farlo, partiamo da una notizia di cronaca. Qualche settimana fa Netflix, un sito per la distribuzione di film online, ha indetto un concorso: premierà con un milione di dollari chiunque troverà un modo per migliorare il suo sistema di «consigli per gli acquisti» ai clienti. Parliamo di software studiati per «intuire» che novità suggerire al cliente in base agli acquisti effettuati in precedenza, una tecnologia che Amazon, la nota libreria virtuale, sperimenta da tempo, ma che appare ancora lontana dal realizzare il sogno di ogni società di e.commerce: sapere in anticipo cosa desiderano i clienti. Meglio, saperlo così bene da poter dire loro: «Ecco quello che vuoi davvero, anche se ancora non lo sai». Insomma, una tecnologia da fantascienza sul tipo degli spot tridimensionali che perseguitano Tom Cruise nel film Minority Report. Il fatto è che queste «fantasie» non sono mai state tanto vicine a realizzarsi, e Google è senza dubbio la più vicina all’obiettivo, come ci spiega John Battelle (cofondatore di Wired ed esperto di Net Economy) nel libro Google e gli altri (Raffaello Cortina Editore). Tutto iniziò con l’ossessione di Larry Page e Sergey Brin, due brillanti studenti di Stanford che sognavano di costruire un motore di ricerca che, oltre a trovare tutte le pagine web contenenti le informazioni cercate dall’utente, riuscisse a presentarle secondo un ordine di rilevanza. Così è nato Page Rank, un algoritmo di ricerca che si inspira al meccanismo delle citazioni accademiche. Come l’importanza di un saggio viene valutata in base al numero di citazioni che ottiene, e al prestigio degli autori che lo citano, l’algoritmo che ha determinato lo strepitoso successo di Google mette in cima ai risultati della ricerca le pagine che ricevono più link da altre pagine, soprattutto se queste ultime sono a loro volta al centro di una fitta ragnatela di link. Il resto è venuto di conseguenza: la qualità delle ricerche è aumentata vertiginosamente, gli utenti sono cresciuti esponenzialmente e Google si è trovata fra le mani un poderoso strumento di marketing. Grazie ai miliardi di richieste che piovono ininterrottamente sul suo sito, Google sta costruendo quello che Battelle definisce un «database delle intenzioni» (il famoso sogno di «sapere prima» che cosa vuole la gente). Di qui è nato un modello di business che sfrutta la possibilità di coordinare gli annunci pubblicitari con i risultati di ricerca, una via per invertire il rapporto fra ricerca di informazioni e mercato, nel senso che lo shopping diventa un’applicazione della ricerca. Così Google si sta trasformando nel «mediatore universale» capace di mettere in relazione qualsiasi desiderio con la sua incarnazione in merci e servizi. Producete musica, testi, video, software, notizie? Consentiteci di indicizzarli e quando la gente li troverà potrete venderli attraverso di noi. Ma perché il meccanismo funzioni, gli utenti devono essere disposti a cedere sempre più informazioni sul proprio conto. Come non sacrificare un po’di privacy in cambio della comodità di trovare senza fatica tutto ciò che si desidera? E poi di Google ci si può fidare... o no? Forse, ma Battelle invita alla prudenza: se Microsoft ha impiegato trent’anni a realizzare il suo obiettivo (mettere un computer su ogni tavolo e i suoi programmi in ogni computer), Google ne ha impiegati solo cinque a indicizzare e rendere davvero accessibile il Web, e ora che è arrivata là in cima, la «bontà» rischia di diventare un lusso. Anche perché è iniziata una guerra senza esclusione di colpi (che oltre a Google e Microsoft vede in lizza Amazon, eBay, Yahoo, Apple e Aol) per decidere chi sarà a dominare il Web del futuro, una rete che ingloberà qualsiasi oggetto in grado di ospitare un chip, «risucchiando» anche il mondo reale nel «database delle intenzioni». E visto che in guerra è difficile essere buoni, è meglio che gli utenti/consumatori tengano gli occhi aperti e ricordino che la loro privacy rischia di finire vittima di qualche casualty...

Il libro di John Battelle «Google e gli altri» (pagine 395, 24,50) è edito da Raffaello Cortina nella collana «Scienza e idee» diretta da Giulio Giorello
«Corriere della sera» del 2 novembre 2006

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