11 novembre 2006

Dio c’entra con la vita pubblica

Riflessione da un costume USA
di Davide Rondoni
God Bless America. Così ha salutato i suoi fan la "regina" democratica Hillary Clinton. Una dei vincitori. Allo stesso modo salutava (e saluterà) lo sconfitto di queste elezioni di mezzo, il presidente Bush. Dalla grande sfida americana arrivano tante indicazioni che esperti di politica e di società stanno valutando. Una indicazione però è già chiara: Dio c'entra con la vita e il bene comuni. Ma Dio è democratico? O è repubblicano? Né l'uno né l'altro. Però Dio c'entra. Questa è una delle lezioni della democrazia americana. Certo, c'è il rischio proprio dei politici di ridurre Dio a un comodo simulacro, a una bandiera utile a sventolare su idee proprie o addirittura propri interessi.
Del resto, questo rischio con Dio lo corriamo tutti, anche da privati cittadini. Ma il fatto resta: dall'America viene una lezione che dovrebbe far pensare molta classe dirigente italiana ed europea, accasciata sui vecchi divani del proprio ateo cinismo o malata di una beffarda distanza dal problema religioso. Dio c'entra con la valutazione della vita. C'entra con i giudizi, con i tentativi per costruire il futuro. Con i tanti dilemmi della nostra epoca. Al fideismo un po' grossolano di Bush i democratici americani non hanno contrapposto un laicismo ateo. Ma altre idee su come Dio c'entra con la vita. Senza tener conto di Dio, ha ricordato più volte Benedetto XVI, non si conosce di che stoffa è tessuto l'uomo. E dunque non si valutano bene i suoi problemi.
A suo tempo il Papa aveva significativamente indicato in Alexis de Toqueville, europeo studioso della nascente società americana, uno dei pensatori più avanzati sul rapporto tra fede e vita civile. Probabilmente Dio non è né un conservatore tradizionalista né uno svagato utopista. Non ha la faccia da guerriero texano, né da attempato fan dei Beatles. Il volto di Dio è una scoperta sempre nuova, per chi gli è fedele. Comprendere il rapporto tra l'esistenza di Dio e la vita pubblica è un'avventura rischiosa, ma inevitabile. I l problema non è "se" Dio c'entra, ma "come". Il problema non è quello posto in modo talora superbo, se non addirittura radicalmente violento, da certi anticristiani di casa nostra. Per costoro infatti Dio non deve entrare. E il fatto che l'uomo sia un essere religioso semplicemente deve essere censurato. Chirurgicamente asportato da tutto ciò che riguarda la vita pubblica. La quale, così amputata di uno dei fattori importanti per la vita umana, diviene non a caso luogo di ogni possibile amputazione. Di ogni sfregio.
Come c'entra nelle faccende sociali il Dio che dice "sì alla vita", richiamato da Benedetto XVI a Verona? È un problema su cui nessun politico può presumere di conoscere la ricetta a priori. Occorre una passione vera per Dio, e una passione vera per gli uomini. La Chiesa cattolica, ha precisato il Papa, non è un attore politico diretto. Ogni volta che qualcuno prova a farla diventare tale - in qualsiasi schieramento - essa perde la sua reale funzione. Che è di tener deste la passione per Dio e la passione per l'uomo. Deste nel popolo. E nei politici. La passione religiosa non è un'irrazionale sentimento che stravolge le cose, che le fa vedere in una luce stramba. Non è una follia. Allargare l'idea di ragione, sta ripetendo Benedetto XVI in questa epoca di tenebre e di speranze.
Si tratta di mostrare che la passione religiosa permette alla ragione di funzionare meglio nel riconoscere i problemi e nel provare a risolverli. Favorisce un'attenzione, una determinazione (ad esempio di fronte alle sofferenze) e una cautela, un saggio senso del limite (ad esempio su tanto scientismo da Frankestein). Oggi diciamo con gli americani di una parte come dell'altra: God bless America. E perciò diciamo che in quel grande paese c'è bisogno di una Chiesa cattolica viva.
«Avvenire» del 10 novembre 2006

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