07 dicembre 2006

«Non svuotate la filosofia dalle idee forti»

Giovanni Reale risponde alle critiche sulla sua interpretazione dei Presocratici
di Armando Torno
Radice: «Un’omissione è censura». Vegetti: «Più Hegel che Marx nelle traduzioni»
Dopo le dichiarazioni di Giovanni Reale e il controcanto di Luciano Canfora («Corriere» del 21 novembre), il dibattito suscitato dalla nuova edizione Bompiani dei Presocratici si è acceso. Le rampogne condite più o meno con ironia, provenienti da intellettuali legati all’ex mondo comunista, si sono in genere concentrate su un particolare più che sul problema sollevato da Reale. Va precisato che Togliatti non trafugò frammenti, né censurò edizioni dei Presocratici o di altri (caso mai è successo il contrario, ché qualche sua battuta ci sembra sparita in talune ristampe) e che Gabriele Giannantoni, curatore dell’edizione Laterza, non fu la mente di un complotto, né ricevette ordini specifici dal Pci. Reale non ha bisogno di particolari difese, giacché i suoi libri sono tradotti in 14 lingue e il suo curriculum è tra i più prestigiosi al mondo. Ribadisce: «Non è un capretto né una vacca quello che manca nel testo di Laterza curato da Giannantoni; mancano - in un’edizione chiamata l’unica integrale italiana - decine e decine di passi che ho elencato in 4 pagine all’inizio della mia traduzione dei Presocratici; ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell’originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l’effetto di svuotare le idee forti di codesti autori. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto: ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva». Per far luce sulle questioni sollevate, abbiamo sentito anche due titolari di cattedra di Filosofia antica: Mario Vegetti e Roberto Radice. Il primo, noto professore dell’ateneo di Pavia, sta terminando per l’editore Bibliopolis di Napoli un monumentale commento alla Repubblica di Platone; il secondo insegna alla Cattolica di Milano e ha pubblicato, presso Biblia, i lessici di Platone, Aristotele e Plotino (sta ultimando quello degli Stoici). Vegetti chiarisce innanzitutto il profilo culturale di Giannantoni: «Era iscritto al Pci, fu anche deputato per quel partito, ma non era un marxista. Si sentiva figlio intellettuale di Guido Calogero, era propenso alla filosofia del dialogo e non a caso il suo pensatore prediletto era Socrate». Venendo ai Presocratici nota: «Nella cura di un testo del genere è difficile immaginare un disegno marxista, anche perché l’edizione Laterza del 1969 utilizzò traduzioni degli anni ‘20, ‘30 e ‘50, che erano caso mai ispirate all’idealismo di Croce». Di più: «Fu un’operazione commerciale che ebbe una sua utilità scolastica, ma vederci un progetto di controllo comunista della cultura è assurdo. Inoltre il metodo di lavoro del Diels-Kranz per la raccolta dei Presocratici non è più a mio giudizio rilevante dal punto di vista scientifico. Quel lavoro di forbici, quella scelta di filosofi attuata con una metodologia e con un gusto che furono dettati ancora da Hegel, prestano ormai il fianco a critiche». In altre parole, per Vegetti «importante è leggere i brani superstiti nel loro contesto e valutare le parole originali di volta in volta». Di altro avviso è Radice. «Non so nulla - confida - della politica e delle strategie del Pci ai tempi di cui si tratta, ma le testimonianze che ho sentito nel corso della mia vita non sono contro la tesi di Reale». Dopo una pausa: «Posso dire però qualcosa sul tema della completezza di un’opera di traduzione che ha un valore ben oltre quello pubblicitario. Nessuno conosce gli interessi, le aspettative e la linea culturale che guidano il suo lettore, e quindi nessun traduttore o esegeta ha elementi fondati per omettere o aggiungere qualcosa al testo cui fa riferimento, tanto più se questa omissione - come nel caso di Giannantoni - non viene sempre segnalata». Poi Radice affronta direttamente la questione: «Sembrerebbe del tutto irrilevante sapere se Kant, quando scriveva la Critica della ragion pratica, mangiasse capretto o una particolare minestra, e credo che alla storia della filosofia questo poco interessi. Ma sapere se un orfico mangiasse o no capretto, può essere significativo dal punto di vista filosofico. Se si asteneva, allora era vegetariano e, come tale, non avrebbe condiviso la ritualistica greca in cui si consumavano le carni offerte alla divinità e si lasciavano ad essa gli aromi per segnare la distanza tra uomo e dio. In sostanza egli credeva, evitando il capretto, in una teologia in cui uomo e divino erano legati». Che aggiungere? Per Radice «i capretti a volte segnano la storia del pensiero più di alcuni filosofi e togliere questi deliziosi animali dai frammenti, così come far sparire dei cavolfiori, potrebbe trasformarsi in una censura». Morale della storia: forse è ora di ripensare talune interpretazioni. Del resto, sta per uscire da Fazi il primo volume della Controstoria della filosofia di Onfray che, con prospettiva opposta a Reale, ribalta la lettura del pensiero antico, giacché non si fida delle scelte che vanno per la maggiore. Chi scrive, invece, vorrebbe solo aggiungere che è aumentata enormemente la sua stima per Palmiro Togliatti, malgrado l’atteggiamento di quelli che oggi cercano di difenderlo.
«Corriere della sera» del 24 novembre 2006

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