17 gennaio 2007

E tutto il mondo riscopre il latino

Qualcuno storce il naso e ritira fuori i soliti vecchi luoghi comuni: studio inutile e noioso, meglio il cinese, meglio l’arabo... Ma questi sono anni di vero e proprio boom per le lettere classiche. Dagli Usa alla Finlandia, dall’Inghilterra all’Italia, sono sempre di più i cultori della lingua di Cicerone
di Gian Maria Vian
Nell’ultimo ventennio negli Stati Uniti i candidati all’esame preuniversitario sono quasi triplicati:nel 1985 erano 50mila, oggi sfiorano i 150mila.Anche i fumetti parlano con le cinque declinazioni: dopo Paperino-Donaldus Anas e Snoopy-Snupius, a Londra Barbara Bell ha creato il primo topo che parla direttamente in latino e vende diecimila copie all’anno: MinimusPionieri di questa rinascita sono stati però i finlandesi, che da diversi anni trasmettono notizie radiofoniche nell’idioma di Quintiliano: sono i «Nuntii Latini», che si possono ascoltare anche su Internet

I cornificiani sono tornati. O meglio, hanno gettato la maschera. Su un autorevole quotidiano economico che evidentemente controllano da tempo, The Financial Times. Non si allarmino la gentile lettrice e il gentile lettore, pensando subito alla denuncia oscurantista che vede eretici dappertutto e ricorre magari a facili teorie evocanti complotti mondiali. I fatti sono fatti. La settimana scorsa, facendola finita una volta per tutte con l'ormai ricorrente propaganda in favore del latino, l'editorialista del giornale britannico Tim Harford ha scritto papale papale - come vedremo, è proprio il caso di usare questo modo di dire - che basta, è meglio studiare il cinese del latino. «A chi giova» (cui prodest)? «Elementare, Watson, ai nuovi cornificiani», avrebbe risposto imperturbabile Sherlock Holmes avvolto nel fumo della sua pipa.
Ecco le prove. Il noto columnist è stato scomodato per rispondere a un improbabile quindicenne romano, tale Andrea Rocchetto, il quale ha pensato di rivolgersi niente meno che al quotidiano d'oltre Manica - certo il suo giornale preferito - per lamentarsi dei suoi obblighi scolastici: «Nelle scuole italiane lo studio del latino è richiesto con una priorità che non viene accordata neppure all'inglese» (primo indizio). E poi la geniale proposta: «Potremmo studiare il cinese che aumenterebbe le nostre capacità logiche e ci aiuterebbe a ottenere qualcosa in futuro» (secondo inizio). La siderale lontananza da quanto succede nelle scuole italiane potrebbe fare pensare a una lettera inventata, ma il complottismo va respinto con fermezza. Anche perché basta la risposta di Harford a rivelare l'intento cornificiano.
E infatti, per accreditare obliquamente il punto di vista dei (neo)cornificiani l'editorialista ricorre dapprima al British style, da sempre sinonimo di eleganza: «Anche negli ambienti sociali più raffinati il latino è sempre meno sfoggio di erudizione e sempre più una dimostrazione di una gioventù sprecata, come sapere a memoria tropp i sketch dei Monty Python»; Harford cerca poi (inutilmente) di dissimulare dietro un antipapismo di facciata confermando che il cinese «sarebbe altrettanto efficace come esercizio mentale e offre il vantaggio supplementare che consente almeno di parlare con qualcuno che non sia il Papa». Per arrivare infine al suo vero obiettivo: in Italia dominano i sindacati, nella fattispecie quelli - notoriamente potentissimi - dei latinisti: «Le vittime sparpagliate sono milioni di studenti costretti a soffrire, mentre il vincitore è probabilmente una lobby ben inserita di insegnanti di latino».
Le risposte (italiane) non si sono fatte attendere. Gerardo Bianco - latinista e uomo politico (ma forse appartenente alla potente lobby presa di mira da Harford), intervistato su La Stampa del 7 gennaio scorso - ha premesso di non volere «rispondere a delle stupidaggini», ma subito dopo ha rovesciato le teorie dell'editorialista cornificiano: avendo «a cuore il mondo moderno e le sue istanze, credo che il latino sia indispensabile. Il problema, semmai, è che questa materia si studia sempre meno». E lo stesso giorno un altro latinista, lo scrittore Luca Canali, ha liquidato la questione su Il Giornale in termini sprezzanti: «È un'idiozia, frutto di un assoluto pragmatismo». Rincarando poi la dose: «In qualche caso l'economia rende idioti. Le cosiddette scienze pragmatiche stanno formando un'umanità incivile e mi stupisce molto che questa presa di posizione provenga proprio dall'Inghilterra, Paese che ha dato degli studiosi formidabili di storia e di letteratura latina e greca».
A salvare l'onore inglese aveva però pensato più di otto secoli fa Giovanni di Salisbury, l'umanista che a Parigi era stato allievo di Abelardo e Gilberto de la Porrée e poi era stato collaboratore dell'arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, e del successore Tommaso Becket - nonché testimone del suo assassinio nella cattedrale voluto da Enrico II nel 1170 - e infine vescovo di Chartres.
L'intellettuale inglese fu uno dei protagonisti della rinascita culturale che nel XII secolo costituì un preludio medievale dell'umanesimo, e all'inizio del Metalogicon, una difesa degli studi di grammatica, retorica e logica conclusa nel 1159, sferrò un duro attacco contro i cornificiani, ora tornati sul Financial Times: avversari della cultura classica, costoro la ritenevano superflua perché gli studi letterari non portavano a nulla e andavano ridotti a vantaggio di quelli che consentissero impieghi immediatamente lucrativi.
Ma inglese è anche un collega di Harford - corrispondente da New York per The Daily Telegraph - autore del brillante Amo, Amas, Amat, and All That: How to Become a Latin Lover, vero e proprio best seller che insegna appunto «come diventare un perfetto amante (del) latino». E se ha ragione purtroppo Gerardo Bianco a lamentare il declino delle lingue classiche nelle scuole e nelle università, le iniziative controcorrente sono tante. E qualcosa queste iniziative sortiscono, se è vero che nell'ultimo ventennio i candidati statunitensi all'esame nazionale preuniversitario di latino sono oggi quasi triplicati rispetto ai 53mila del 1985. Pionieri di questa rinascita sono stati però i finlandesi, che da diversi anni trasmettono notizie radiofoniche nella lingua di Cicerone e Quintiliano, i Nuntii Latini, che si possono ascoltare anche su Internet e che hanno affiancato le cronache della rivista Latinitas, organo dell'omonima fondazione vaticana.
E dal Vaticano è venuta un'iniziativa che punta a favorire la propaganda in favore delle lingue classiche, con l'indizione di un premio abbastanza ricco - da parte del Pontificio comitato di Scienze storiche (www.vatican.va), che nel quadro del programma «Ad fontes» ha già assegnato il primo - per il migliore articolo giornalistico sull'importanza di latino e greco. E ancora dall'Inghilterra, a contrastare i cornificiani, è arrivato da Barbara Bell il primo topo che parla direttamente in latino e vende diecimila copie all'anno : Minimus - che dispone di un sito (www.minimus.com) - si aggiunge così ai suoi compagni, più popolari ma tradotti, da Donaldus Anas, che rendeva perfettamente il disneyano Donald Duck, e il bracchetto Snupius. Sì, il latino non serve (nel senso che non è servo di nessuno proprio perché abitua alla critica): per questo non piace ai cornificiani. Ma proprio è anche indispensabile. E alla fine diverte.
«Avvenire» del 14 gennaio 2007

Nessun commento: