24 gennaio 2007

Negazionismo

Il ministro della Giustizia propone un disegno di legge per sanzionare chi nega l’Olocausto. Gli studiosi di destra e di sinistra si ribellano
di Dario Fertilio
Manifesto degli storici contro Mastella: «La verità non si stabilisce con una legge»
«Verità storica di Stato»: secca e bruciante, la definizione punta diritta al cuore del ministro della Giustizia Clemente Mastella, e della sua idea di colpire per legge i negatori della Shoah. Perché non esiste errore così grave da dover essere sanzionato per bocca di un giudice, né tesi talmente riprovevole da far meritare al suo autore una permanenza tra le mura di un carcere. E così il Manifesto dei Centocinquanta, intitolato significativamente «Contro il negazionismo, per la libertà della ricerca storica», rimescola le acque e muta le prospettive politiche di una vicenda data troppo presto per scontata. Tanto più che fra i Centocinquanta (in realtà molti di più che hanno sottoscritto successivamente il documento) sono rappresentate varie scuole politiche e culturali, oltre che la quasi totalità delle università italiane, addirittura con una prevalenza numerica della sinistra progressista. In testa a tutti c’è Marcello Flores dell’università di Siena, primo firmatario e ideatore del documento insieme con Simon Levis Sullam ed Enzo Traverso, seguono personaggi come David Bidussa della Fondazione Feltrinelli, Paul Ginsborg (il teorico dell’impegno girotondino), Alessandro Pizzorno e Anna Rossi Doria, Carlo Ginzburg e Andrea Graziosi, Mario Isnenghi e Sergio Luzzatto, Claudio Pavone e Giorgio Rochat, Angelo D’Orsi e Giovanni De Luna. Non mancano, certo, anche gli esponenti di altre aree politiche e culturali, da Giovanni Belardelli a Franco Cardini, Roberto Chiarini, Simona Colarizzi, Ernesto Galli della Loggia, ma il tono generale è innegabilmente progressista, quasi a lanciare un messaggio preciso: le collocazioni politiche passano in secondo piano quando si tratta di difendere la libertà d’opinione e di ricerca storica minacciate - magari con le migliori intenzioni - dalle invasioni di campo della politica e della magistratura. Sullo sfondo, un convitato di pietra non nominato ma sottinteso, e un precedente inquietante: quel David Irving, negazionista dichiarato a proposito delle camere a gas e della Shoah, finito in carcere in Austria per un reato esecrabile quanto si vuole, ma pur sempre d’opinione. Colpisce, nel Manifesto dei Centocinquanta, la netta presa di posizione, insolita nel dibattito culturale italiano per lo più ovattato ed allusivo: un no rotondo a quel «disegno di legge che dovrebbe prevedere la condanna, e anche la reclusione, per chi neghi l’esistenza storica della Shoah», che il governo Prodi per bocca del ministro Mastella ha annunciato di voler presentare il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria. Un no che culmina in quella definizione di «verità storica di Stato» che costituisce il passaggio emotivamente più forte del Manifesto. Le argomentazioni polemiche sono articolate in tre punti. Primo: secondo i firmatari si offre ai negazionisti - anzi è purtroppo già avvenuto - l’opportunità di ergersi a difensori della libertà d’espressione. Secondo: si stabilisce una verità di Stato sulla storia, rischiando paradossalmente di delegittimare proprio ciò che ci si propone di difendere. Con una serie di paralleli ad effetto, i firmatari del Manifesto arrivano a catalogare sotto la dizione «verità di Stato» il «socialismo» nei regimi comunisti, «l’antifascismo» nella Germania dell’Est, la «non esistenza» del genocidio armeno in Turchia e la cancellazione della rivolta di Piazza Tienanmen nella verità ufficiale del regime di Pechino. Tutti precedenti che dovrebbero sconsigliare un governo democratico dall’avventurarsi su un simile terreno. Terzo: si accentua l’idea, assai discussa dagli storici, della «unicità della Shoah», «non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altro evento storico». Ma se un fatto viene posto «al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo», si finisce per spostarlo nel mondo della metafisica, impedendo una riflessione su di esso. La strada che il ministro Mastella e il governo Prodi hanno intenzione di percorrere è lastricata dunque di buone intenzioni ma conduce all’inferno: così si potrebbe liberamente parafrasare il Manifesto. Infatti, una cosa è condannare le tesi negazioniste di chi incita alla violenza e all’odio razziale, un’altra andare al di là delle leggi già esistenti, giudicate dai firmatari «sufficienti a perseguire i comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo terreno». E così, se non ci saranno ripensamenti, si profila uno scontro con il mondo intellettuale italiano, non solo accademico e potenzialmente maggioritario. Un consiglio dei ministri non privo di rischi dovrà dire sì o no al testo che il ministero guidato da Mastella sta mettendo a punto: c’è il rischio di innescare reazioni a catena, dal momento che l’idea di colpire il negazionismo, limitandolo al nazismo, si è già scontrata in Europa con l’indignazione di coloro che chiedono di equiparare i crimini commessi sotto il segno della svastica a quelli marchiati con falce e martello. Ma d’altra parte la preoccupazione per il crescente antisemitismo è alimentata da un altro incubo: quello che ha il volto iraniano di Ahmadinejad, che del negazionismo fa la sua bandiera, tentando di fornire ai suoi adepti una legittimazione scientifica e alibi politici nuovi di zecca .

PIERO MELOGRANI: PERCHÉ NO
«Anche chi sostiene tesi assurde non merita di finire in carcere»
«Io stesso - racconta Piero Melograni - ho assistito con i miei occhi a una deportazione di ebrei. Era il 16 ottobre 1944, ero nel quartiere di Roma dove abitavo: mi hanno spiegato che sotto i teloni di un camion c’erano quelli che stavano portando via. E proprio per questo, per fedeltà a quel ricordo, mi oppongo all’idea di Mastella, perché un provvedimento di legge sulla negazione della Shoah finirebbe con l’indebolire la verità». In che modo si produrrebbe un effetto simile? «Facendo nascere tra la gente la convinzione che, se certe cose è vietato dirle, è perché si vuole nascondere una qualche verità». L’errore, insiste Melograni, sta nell’idea in sè di una legge che regoli ufficialmente le opinioni. «Sui grandi fatti storici contano le opinioni diffuse e non le leggi. L’importante è ricordare, non far balenare la possibilità di una punizione, che finirebbe col produrre un effetto opposto». Ovvio che, secondo Melograni, il ragionamento va applicato a qualsiasi altra forma di negazionismo, che riguardi i genocidi comunisti o quelli dell’impero ottomano: «sono d’accordo» - conclude - con i firmatari del documento» (d. fert.)
FURIO COLOMBO: PERCHÉ SI'
«Bisogna punire chi vuole cancellare l’orrore del passato»
«In Occidente non esistono grandi eventi storici che col tempo siano stati negati. Dallo sbarco dei Mille alla guerra anti-schiavista in America, i fatti vengono interpretati ma non si tenta di cancellarli. Questo non vale per la Shoah: devo concludere che essa viene negata da qualcuno perché riguarda gli ebrei». Furio Colombo, estensore e primo firmatario della legge che ha istituito anche in Italia il Giorno della Memoria, è convinto che dietro alle pretese scientifiche di chi minimizza le camere a gas si annidi un sottinteso tenebroso: «negano per alludere implicitamente al fatto che troppi ebrei sono sopravvissuti». «Questo - continua - spiega perché alcuni paesi civili hanno deciso di considerare reato penale il negazionismo. Cancellare la memoria, in questo caso, implica la possibilità di ripetere ciò che si nega». Approva dunque l’iniziativa di Mastella? «Penso che il negazionismo dovrebbe essere considerato reato, e punito severamente, quando chi lo commette riveste una carica pubblica, e in particolare quando ha l’incarico di insegnare». E i cittadini comuni? «Preferisco rimproverarli di essere fuori della storia e in contrasto con il paese in cui vivono. E sogno una mobilitazione d’opinione su questi temi». (d. fert.)
«Corriere della sera» del 23 gennaio 2007

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