13 febbraio 2007

Il silenzio generalizzato

di Claudio Magris
Le parole del presidente Napolitano potrebbero - dovrebbero, in un Paese civilmente maturo - chiudere e insieme aprire una stagione etico-politica, instaurare definitivamente una nuova coscienza nazionale comune. Ogni parte politica tende non solo a nascondere i crimini compiuti in suo nome o comunque collegati con la sua ideologia, ma anche a rimuoverli, a ignorarli veramente, in un’orrida buona fede che è il risultato di un assiduo auto-ottundimento morale. È accaduto con le foibe e con tante altre tragedie e delittuose violenze alle frontiere orientali d’Italia; è accaduto con i crimini commessi dagli italiani contro gli slavi, anch’essi rimossi e cancellati, e l’elenco potrebbe continuare ed estendersi ad altri Stati, nazioni, forze politiche dei più vari Paesi di ieri e di oggi. Sulle foibe, tanta sinistra - comunista e non solo comunista - ha taciuto. Le ha ignorate e ha contribuito a farle ignorare, senza ascoltare le voci - umanamente forti, ma politicamente esigue - di quella sinistra democratica, patriottica e dunque antinazionalista, che ne dava testimonianza. Tante ragioni possono spiegare questo oltraggioso silenzio e oblio, nessuna può giustificarlo, così come nessuna violenza compiuta su innocenti giustifica la ritorsione di violenze su altri innocenti. Questo vale per tutti, individui, popoli, partiti e gruppi di potere. All’ammenda della sinistra comunista, doverosa e oggi così altamente e definitivamente proclamata, dovrebbe ora aggiungersi quella degli altri che hanno taciuto sulle foibe. Negli anni Cinquanta e Sessanta, quando le foibe erano generalmente ignote agli italiani, l’Italia non era un Paese comunista, ma era governata politicamente e socialmente dai moderati. I grandi giornali erano di parte moderata; lo erano in grande prevalenza le importanti case editrici (Mondadori, Bompiani, Rizzoli, Garzanti, per citarne solo alcune); né i governi centristi né quelli di centrosinistra erano comunisti. Perché allora tutti hanno taciuto, ignorato? Perché se ne sono infischiati di quei morti delle foibe, come di tanti altri? Forse anche per crassa ignoranza, inqualificabile in classi dirigenti politiche e intellettuali. Ma forse soprattutto perché quell’argomento, allora, non serviva; quei morti assassinati non potevano venire usati - blasfemamente - come un’arma politica. A ricordarli erano, inascoltati, pochi democratici e soprattutto partiti e gruppi di estrema destra, che li ricordavano in modo sbagliato, regressivo e oggettivamente profanatorio, per riattizzare quegli odii nazionalisti antislavi che erano stati in parte all’origine della storia conclusasi con quei crimini. Il sangue dei vinti, allora, non interessava nessuno, tranne i vinti che avevano versato il proprio, o chi, ossessionato da un dolore subito, avrebbe voluto versare quello di qualche altro, magari estraneo a quei delitti, perpetuando così la catena di violenza e vendetta. Il presidente rappresenta tutti gli italiani. Ora speriamo dunque si possano finalmente ricordare quelle vittime - e tutte le altre, di ogni parte - senza reticenze e senza strumentalizzazioni; senza quell’orribile calcolo dei morti cui abbiamo assistito negli ultimi anni, stropicciandoci le mani per la soddisfazione di constatare talvolta che i nostri cari vilmente colpiti da mano nemica erano un po’più numerosi dei cari dei nostri nemici vilmente colpiti dalla nostra mano. Una pagina, speriamo, si chiude; col ricordo sempre vivo delle vittime e l’esecrazione sempre viva dei carnefici, d’ogni parte, ma senza la tentazione di servircene oggi per interessi di parte.
«Corriere della sera» dell11 febbraio 2007

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