20 febbraio 2007

Le belle e le bestie, un mondo ambiguo

Sfingi, centauri, sirene, angeli: l’attrazione irresistibile per le creature di mezzol’Immaginario
di Francesca Bonazzoli
Lungo tutto il corso dell’Ottocento, in pieno trionfo del verismo e della solare joie de vivre impressionista, la vena visionaria e immaginifica del preromanticismo sopravviveva in paludi oscure dove confluivano limi e acque reflue della simbologia egizia e mesopotamica, del mito greco, delle fiabe iperboree mescolate alle storie bibliche e medievali. La Natura, lì, non era un baluginare festante di luce, come la contemplavano spensierati Monet, Pissaro, Renoir, ma madre e matrigna ad un tempo. Le donne che si aggiravano in quei luoghi non erano cocotte con cappellino e ombrellino disposte a godere il piacere dell’attimo fuggente, ma strumento di potenze sotterranee e misteriose: attraverso il loro grembo oscuro, come in quello della dea Terra, passavano vita e morte, santità e peccato. In queste paludi di erudita isteria, «l’oscuro regno della possibilità mescolatrice delle forme», come l’aveva definito Goethe, si coltivava la passione per tutto ciò che era doppio («simbolo» in greco significa mettere insieme), e nulla più del mito - le Metamorfosi di Ovidio insegnano - contempla la doppiezza come essenza del divino. Nella sovraeccitata immaginazione simbolista queste paludi erano dunque popolate da creature di mezzo - sfingi, centauri, sirene, angeli, ninfe - che vivevano una doppia natura, animale e umana, divina e demoniaca, buona e insieme malvagia, come l’inconscio umano. E fra le belve umane, quelle femminili rappresentavano per lo più gli istinti. La sfinge, corpo da leone e testa umana, era un simbolo che nell’antico Egitto significava potenza e vigilanza; i Greci femminilizzarono la figura aggiungendo ali e seno: davanti ad Edipo la sfinge rappresentava la sapienza arcana. Ma nelle rappresentazioni che ne fanno Fernand Khnopff o Franz von Stuck, diventa un animale dalla ferocia seduttiva, allegoria della Lussuria, ovvero la Voluptas che gli umanisti intendevano quale appagamento sensuale e meta vittoriosa che si confondeva con l’Amore nella personificazione di Venere. Nella versione di Fernand Khnopff, la sfinge ha una lunga coda sensuale e il corpo di un leopardo, che ricorda lo scatto veloce, subitaneo e improvviso della passione incontrollata. Insidiose e seduttrici sono anche le sirene, dal cui canto meraviglioso si deve difendere persino il più astuto degli uomini: Ulisse. Nell’antichità classica erano creature con la testa e il busto di donna e il resto del corpo da uccello, ma nelle leggende di origine nordica avevano forma di pesce. Erano esseri ingannevoli che, nascondendo sotto l’acqua la loro parte animale, seducevano i naviganti con la bellezza in apparenza umana, ma poi li trascinavano nei flutti e se ne nutrivano. Rappresentano l’autodistruzione del desiderio, l’immaginazione che ha per oggetto una smania irrealizzabile. E infatti anche nell’antico Egitto la sirena era l’anima del morto che ha fallito il suo destino e si è trasformata in un vampiro divoratore. Tema, questo, su cui il norvegese Edvard Munch si esercitò più volte dando al vampiro l’aspetto di una donna con i lunghi capelli rossi. Ma ci sono anche creature di mezzo con un’ambiguità più positiva. L’angelo, per esempio, rappresenta l’Eden, l’origine felice, l’unione di spirito e materia. Oppure creature di mezzo di sesso maschile come i Centauri (molto amati specialmente dai simbolisti di area germanica), mitici esseri con busto e testa umani e corpo equino. Max Klinger li dipinge mentre vengono cacciati dagli uomini, allegoria della barbarie sconfitta dalla civiltà. Da un lato sono esseri lascivi e sensuali, ma dall’altro creature vitali, forti, in contatto con lo spirito dionisiaco del mondo. Il bavarese Franz von Stuck, occhi e capelli neri come un fiero e sensuale uomo del meridione, sceglierà appunto il centauro per il proprio stemma quando, nel 1905, verrà nominato cavaliere: l’allusione era al corpo non ancora separato dai suoi istinti naturali, alla «grande salute» e alla volontà di potenza nietzschiane. Tutto ciò che è profondo ama la maschera, diceva Nietzsche, e queste figure in cui si nasconde una parte bestiale impersonificano la nostalgia per le forze istintuali, per un tempo in cui l’uomo era ancora in contatto diretto col sacro. Attraverso di loro giungeva ai Simbolisti l’eco del «Marriage of Heaven and Hell» di William Blake, della «Götterdämmerung» di Wagner, del «tempo interiore» di Bergson, dei versi di Baudelaire: «Oltre le quinte dell’esistere immenso, nel cuore dell’abisso, io vedo con chiarezza dei mondi singolari».
«Corriere della sera» del 15 febbraio 2007

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