01 marzo 2007

Embrioni uomo-animale, l’orrore è realtà

di Eugenia Roccella

In Inghilterra gli embrioni-chimera si faranno. Lo annuncia trionfalmente il Times, il giornale che con più convinzione ha condotto la campagna per la creazione degli ibridi uomo/animale, ospitando il mese scorso l'appello di 45 scienziati, bioeticisti e politici - tra cui tre premi Nobel - che con toni accorati chiedevano di «non fermare la ricerca». Quella del Times è ancora soltanto un'indiscrezione, lanciata nel dibattito pubblico per premere ulteriormente sul ministro della Sanità, Caroline Flint, ma l'orientamento del governo inglese sembra chiaro. La Gran Bretagna deve mantenere a qualunque prezzo il suo ruolo di leader della ricerca selvaggia, definita eufemisticamente «libera». Il rischio è grave: se entro qualche anno la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali non avrà dato ancora nessun risultato, l'enorme rete di progetti di ricerca messa in piedi a livello internazionale si disgregherà, le aspettative dell'opinione pubblica si sgonfieranno, i flussi di denaro si indirizzeranno altrove, e il fallimento scientifico trascinerà con sé strutture e carriere.
L'obiettivo mitico e sfuggente, il Santo Graal che tutti inseguono, è la clonazione terapeutica, che sulla stampa viene in genere dipinta come una prospettiva concreta, che permetterà di curare molte malattie degenerative. In realtà la tecnica del trasferimento nucleare, che si adotta sia per la clonazione terapeutica che per la creazione degli embrioni-chimera, non ha mai funzionato nell'uomo. Ogni volta che qualcuno ha annunciato di esserci riuscito ha dovuto poi ritrattare, oppure, come nel caso del coreano Woo-Suk Hwang, è stato ingloriosamente smascherato. È per questo che si vuole abbattere la frontiera naturale tra umano e non umano: per incrementare le probabilità di successo della tecnica bisogna moltiplicare i tentativi, quindi diventa vitale disporre di un gran numero di ovuli, di mucca o di donna poco importa.
Nella gara tra i diversi gruppi di ricerca l'opinione pubblica gioca un ruolo cruciale; blandirla, orientarla, rassicurarla, è decisivo per ottenere i fondi. L'immensa pubblicità data alle speranze di cura associate alle cellule staminali embrionali è stata finora l'elemento vincente, ma le ultime novità, dalla compravendita degli ovociti umani fino agli embrioni Frankestein, aprono squarci inquietanti sul nostro futuro. L'umano viene ridotto a un calcolo percentuale, un tasso variabile: è solo una qualità che può essere presente in misura diversa nelle creature indefinibili che usciranno dai laboratori. Benché gli esperti si affannino a ripeterci che gli ibridi serviranno solo a scopi di ricerca, e dunque saranno rapidamente distrutti per ricavarne linee cellulari, il dubbio è lecito: se davvero si riuscirà a produrre gli embrioni-chimera, non ci sarà qualche scienziato che vorrà impiantarli nell'utero di una donna o magari di una mucca? Non sarà inevitabile scavalcare il limite successivo, e andare avanti nella manipolazione della vita umana? La risposta è unanime: naturalmente non sarà così, e la logica del piano inclinato, secondo cui una volta preso l'abbrivio si scivola insensibilmente verso il basso, è solo lo spauracchio con cui si vuole bloccare il progresso della scienza.
Eppure l'ultimo numero di Nature, notissima rivista scientifica, si apre con un articolo che spiega chiaramente come quello che viene ritenuto un invalicabile limite etico, dopo un certo tempo è percepito come un ostacolo obsoleto. A dieci anni dalla nascita della pecora Dolly, la clonazione umana, universalmente condannata, comincia a diventare non solo un obiettivo possibile, ma secondo la rivista, addirittura inevitabile. La ricerca, insomma, non si può fermare, o almeno, non si può fermare da sola: se non ci sarà un movimento di opinione, se non saranno i governi democratici a riportare in equilibrio il piano inclinato, gli embrioni-chimera tra dieci anni saranno pura normalità.
«Il Giornale» del 28 febbraio 2007

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