11 marzo 2007

Giovanni Impastato: «Antenne, cavi, spinotti: così mio fratello Peppino sfidò don Tano Seduto»

Trent’anni fa scoppiava la rivoluzione delle radio libere
di Felice Cavallaro
Una stagione esaltante ora rievocata in una mostra a Milano
«Arrivò con un armamentario di antenne, cavi e spinotti. Una borsa con microfoni e trasmittente. Euforico, Peppino cominciò a collegare fili, a montare la baracca e nacque Radio Aut, la radio di Cinisi, la voce dello sberleffo contro la mafia, contro i boss del nostro paese e della nostra famiglia...». Ha un testimone eccellente la pagina più drammatica nella storia delle radio libere, Giovanni Impastato, il fratello di Peppino-il-ribelle, dell’eroe rivoltatosi contro il padrino con dimora a cento passi dalla sua casa, «don» Tano Badalamenti. «Mia madre tremava ascoltando quelle prime trasmissioni di nascosto», evoca Giovanni, ancora oggi al bancone della salumeria-pizzeria di Cinisi dove il padre si dannava per quei figli nati storti. «Come mia madre, tutto il paese ascoltava di nascosto. Lei tremando. Gli altri ridendo alle spalle di "don Tano", ridicolizzato da Peppino che lo chiamava Toro Seduto e lo faceva muovere come una macchietta tra gli affari di "Mafiopoli"...», ricorda lui che lavorò sodo dopo l’assassinio del fratello davanti a quel microfono, accanto al compagno più fidato di Peppino, Salvo Vitale, altro «ragazzo» senza età, sempre in trincea, adesso impegnato in una Tv libera di Partinico, Tele Jato, sintonizzata sulla stessa traccia scomoda e irriverente di Radio Aut. Perché c’è un angolo della Sicilia dove la lotta alla mafia s’intreccia con quella della libertà da conquistare con un’antenna. Angolo spinoso dell’isola. In pieno dominio «corleonese». Appunto, tra Partinico e Cinisi. A due passi da Montelepre ed altri paesi segnati dalla sopraffazione che un massiccio e candido sognatore in camicia bianca come Danilo Dolci provò a contrastare dando voce a chi non ne aveva con la prima rudimentale e improvvisata radio libera del dopoguerra. Era il 25 marzo 1970 quando dal Centro studi e iniziative di Partinico, ricco paese allora in mano a mafiosi e sofisticatori di vino, Dolci sfidò la legge e il monopolio Rai avviando le trasmissioni bruscamente interrotte appena 27 ore dopo dall’irruzione di un plotone della Celere. Postazione accerchiata da agenti pronti a sequestrare radio e attrezzature, un po’buffi, ignari di non potere arrestare la valanga aperta da quell’esperienza destinata a trasformarsi in esempio. Vicino e lontano. Anche vicinissimo, a Cinisi, dove Peppino Impastato prese il testimone di quel capopopolo, come conferma Giovanni: «A Radio Aut si fecero trasmissioni con Danilo Dolci. Peppino esaltò con lui le lotte per l’acqua. E denunciò tante speculazioni edilizie. Un impegno miscelato con la sua esperienza politica cominciata scrivendo e stampando al ciclostile un giornalino, L’Idea socialista. Ma era convinto che ci voleva la radio per arrivare al cuore della gente. E così fece». Una storia sfociata nella tragedia e nella messinscena del terrorista caduto per sua stessa mano. Con Peppino trovato dilaniato sul binario Palermo Trapani da una bomba. «Ma fu proprio la forza della radio a rivelare anche il depistaggio dei carabinieri», come ricorda Giovanni, subito certo delle inconfessabili coperture ottenute dalla mafia. «Riascoltate la voce di Peppino, gli spezzoni di Onda Pazza. Stanno su Internet. Troverete perfino il nome di Pino Lipari, il geometra che curava gli affari di Totò Riina. Ci vollero poi vent’anni perché lo arrestassero come faccendiere di Provenzano». La radio come occasione di verità e trampolino di libertà. Un sogno. Lo stesso che lega Dolci, la rivoluzione di Radio Aut e il martellamento attuale di Tele Jato e che convinse proprio Giovanni Impastato a lanciare una provocazione caduta nel vuoto tre anni fa, nel venticinquesimo anniversario del massacro di suo fratello, una sorta di manifesto: «Radio libere di tutto il Paese unitevi, uniamoci...». Un appello esplicito: «Fare rinascere Radio Aut a livello nazionale, anche mobilitando chi allora animava Radio Città Futura, Radio Alice o le altre emittenti del Movimento...». Col suo candore, captato dagli studenti che incontra sempre più spesso in ogni parte d’Italia, Giovanni sospetta di vivere un’illusione fuori tempo, ma non si rassegna: «Lottare è un obbligo. Trasmettere anche».
«Corriere della sera» dell’8 marzo 2007

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