20 marzo 2007

Il gossip ci soffoca ma lo vogliamo noi

Trasmissioni, riviste, blog: quasi anneghiamo
di Giorgio Ferrari
La tragicomica vicenda che prende il nome di "vallettopoli" merita una piccola riflessione sul ruolo dei media e su quello scarto, quello slittamento socio-semantico che ha consentito che la sfera privata dell'individuo divenisse sempre più un fatto pubblico, senza che nessuna barriera o quasi si potesse innalzare a difesa di ciò che un tempo si chiamava onore, riserbo, dignità. Chiariamo subito che il gossip (inteso come: "venticello", "spiffero" e in senso lato "maldicenza") è sempre esistito. I graffiti pompeiani, la ricca messe di iscrizioni funerarie romane testimoniano della mai sopita propensione umana a far sapere al mondo vizi e debolezze non solo dei potenti, ma perfino degli anonimi vicini di casa. Nulla è davvero cambiato sotto le stelle, sebbene una differenza sostanziale fra il passato - anche recente - e i giorni nostri vi sia: un tempo non esistevano i canali perché il gossip giungesse a forare la soglia di attenzione pubblica e comunque nessuno si sarebbe sognato di farlo. Un esempio, fra i tanti: John Fitzgerald Kennedy era un impenitente donnaiolo. Per lui si riesumò addirittura un termine del teatro elisabettiano, womanize, ad indicare il suo svago prediletto nonostante fosse sposato e presidente degli Stati Uniti. Tutti ne erano al corrente, il servizio segreto che lo sorvegliava giorno e notte, il suo staff, l'Fbi ed anche i giornalisti accreditati alla Casa Bianca. Ma nessuno - pur nella patria del giornalismo d'inchiesta, dei premi Pulitzer, della libertà di stampa ad ogni costo - scrisse mai una riga sui suoi incontri eccellenti né su quelli più oscuri ed anonimi. Perché? Perché il corpo sociale stava ancora al di qua di una certa soglia, e il giornalismo, che pure non risparmiava stoccate mortali al potere (non fu forse Walter Cronkite a seppellire il presidente Lyndon Johnson e a stroncare l'avventura americana in Vietnam in una memorabile corrispondenza televisiva?) ne era lo specchio o forse l'eco. Se dovessimo giudicare oggi la società italiana dal comportamento dei suoi media, il ritratto sarebbe raggelante: pensiamo a una tv che programma fin dal pomeriggio, laddove un tempo c'era solo la Tv dei ragazzi, una marea di imbecillità che hanno in comune solo il gossip, il turpiloquio, il nudo ossessivo e offensivo; pensiamo a gran parte della stampa quotidiana, che dai rotocalchi e dalle testate-spazzatura ha preso il vezzo di raccontare vizi, amori, malefatte come fossero le notizie più importanti alimentando un mercato che un tempo non esisteva. In fondo è una verità lapalissiana: se nessuno comprasse certi servizi fotografici a nessuna agenzia fotografica verrebbe in mente di commissionarli. Il lettore - si giustificano gli artefici di questo trend al ribasso - esige da noi queste notizie». Ma non è vero. La Bbc, il New York Times, Le Monde, Le Figaro, El Pais, la nuovissima al-Jazeera International - i migliori giornali del mondo, per capirci - fanno a meno di tutto ciò. E restano autorevoli, seguitissimi, popolari e soprattutto credibili. Anche senza gossip. Che strano.
«Avvenire» del 18 marzo 2007

Nessun commento: