10 marzo 2007

Il libro migliore è quello da non leggere

di Caterina Soffici
Avete passato gli ultimi dieci anni fingendo di aver appena terminato l’ultimo best seller di moda o l’imprescindibile classico? Bene, mollate lì tutti i libri che vi apprestate a non leggere e procuratevi subito il saggio di un professore di letteratura all’Università di Parigi, tal Pierre Bayard, 52 anni, che si intitola: Come parlare di libri che non si sono letti (Comment parler des livres que l’on n’a pas lus, Minuit).
Nato come dispensa universitaria destinata agli studenti, il libro sta scalando la classifica dei best seller. E già questo la dovrebbe dire lunga. Il furbo professor Bayard ha toccato la corda giusta: esorcizzare il senso di colpa del non lettore. Lui li rassicura che non è obbligatorio leggere e ammette di parlare spesso, durante le sue lezioni, di libri mai letti o appena sfogliati. Nel pamphlet insegna addirittura a discutere con qualcuno su un libro che non si è letto e assicura che la discussione sarà ancora più avvincente se anche l’altro non l’ha letto.
Bayard, che ovviamente non abbiamo letto, divide i libri in quattro categorie: quelli cominciati e mai finiti (L’uomo senza qualità di Musil e l’Ulisse di Joyce); i libri di cui ha sentito parlare da altri (L’Eneide di Virgilio, Oliver Twist di Dickens); quelli letti ma dimenticati (L’interpretazione dei sogni di Freud, Il lupo nella steppa di Hesse) e i libri di cui non sa assolutamente nulla (lista lunghissima). La provocazione, per di più fatta da un professore di letteratura, fa discutere. E infatti in Francia ne discutono. La polemica è rimbalzata sul New York Times e i diritti del libro sono stati già comprati in Stati Uniti e Gran Bretagna.
In Italia il fatto che chi parla di libri non li abbia letti, non è una notizia e neppure una grande novità. Lo sosteneva già negli anni Settanta Giorgio Manganelli (Lunario dell’orfano sannita): «Un lettore di professione è in primo luogo chi sa quali libri non leggere; è colui che sa dire, come scrisse una volta mirabilmente Scheiwiller, “non l'ho letto e non mi piace”. Il vero, estremo lettore di professione potrebbe essere un tale che non legge quasi nulla, al limite un semianalfabeta che compita a fatica i nomi delle strade, e solo con luce favorevole».
Se il lettore di professione è un tizio che non legge quasi nulla, immaginatevi gli altri. Più interessante sarebbe un pamphlet tipo Come non parlare di libri che non dovresti aver letto, ma purtroppo hai letto. Però qui la lista sarebbe molto più lunga di quella di Bayard.
«Il Giornale» del 6 marzo 2007

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