21 marzo 2007

Pechino approva la riforma: via libera alla proprietà privata Ma gli irriducibili votano no

Il Parlamento vara un provvedimento frutto di molti compromessi
di Fabio Cavalera
Delusi anche i riformatori: «È un pasticcio»
La Cina ha una legge che riconosce e disciplina la proprietà privata. L’ha approvata l’Assemblea nazionale, il Parlamento che si riunisce una volta all’anno, con un voto plebiscitario ma non unanime: 2.799 a favore, 52 contrari e un manipolo di astenuti, una trentina. Si è così apertamente espresso un dissenso di sinistra che aldilà della scarsa consistenza apparente indica un turbamento profondo nel Partito comunista. L’area dell’opposizione - molto più ampia di ciò che prefigura il pronunciamento esplicito avvenuto ieri - ha lanciato un segnale politico. La legge è la fotografia delle contraddizioni cinesi: la bozza ha subito nel tempo e anche negli ultimi giorni non pochi emendamenti che lasciano ampi spazi di interpretazione, di equivoci e di discrezionalità. Proprietà statale, proprietà collettiva e proprietà privata sono tutelate ma in un quadro di difficilissima comprensione. Le norme rischiano di non accontentare le forze più innovative del sistema cinese e certamente non piacciono alle correnti marxiste. Si tratta di un compromesso, non di una rivoluzione. Il voto a stragrande maggioranza espresso dall’Assemblea del popolo (al pari di quello che unifica la tassazione al 25 per cento per le imprese cinesi e le imprese straniere) dice comunque che la Cina sta superando la contrapposizione tradizionale fra l’area del conservatorismo comunista e l’area del post-maoismo. È in corso un rimescolamento di carte con una frantumazione di posizioni e con la ricerca di equilibri di governo e di potere diversi. Si affacciano analisi che non sono più contenibili nei vecchi schemi: il voto che ha espresso un piccolo gruppo di delegati - solo superficialmente etichettabili come eredi della ortodossia - toglie il velo della segretezza ai disagi che accomunano i riformisti e la neosinistra sociale, preoccupati da ritmi di crescita economica fuori controllo, da instabilità nelle campagne e da pesanti ed estesi fenomeni di corruzione. I giochi si concluderanno in autunno quando il Partito comunista cinese si ritroverà a congresso e sceglierà il suo nuovo gruppo dirigente. Che vi sia un dibattito forte sulle prospettive e sulle linee da seguire lo si ricava - oltre che dalla approvazione non unanime delle due leggi in discussione - pure dalle parole di Wen Jiabao. Il premier, a conclusione dei lavori dell’Assemblea, ha voluto mettere in guardia dai pericoli reali che si leggono nell’immediato futuro del Dragone. È la prima volta che ciò avviene per bocca di un leader. Una critica severa. «I principali problemi che abbiamo sono gli squilibri nella struttura e uno sviluppo instabile, non coordinato e insostenibile». Il settore del credito marcia troppo velocemente, la liquidità è eccessiva, il saldo commerciale sbilanciato. Una economia da correggere e frenare perché non offre garanzie di tutela per le fasce di popolazione rurale meno abbienti. «Il potere è concentrato e non può essere controllato e supervisionato». Sia pure severo nei confronti del Dalai Lama (persegue ancora «obiettivi secessionisti») Wen Jiabao ha fatto qualche apertura sul fronte delle libertà: «Democrazia, legge, uguaglianza e diritti umani non appartengono esclusivamente al capitalismo». Sulla proprietà privata neppure un commento. Segno che il dibattito non è stato chiuso.
«Corriere della sera» del 17 marzo 2007

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