01 marzo 2007

Rainer Maria Rilke, l’angelo che mise le ali alla poesia del ’900

di Roberto Mussapi
Nasce nel 1875, muore nel 1926: vita breve, anche se piena e straordinariamente fertile. I numeri sono magici, a saperli leggere, e non a caso Rainer Maria Rilke, incluso dal destino in quei due quarti di secoli, sarà il gigante della poesia di quell’età di passaggio, portando al massimo grado una straordinaria sintesi del passato e nello stesso tempo avventurandosi nella dimensione nuova, inquieta e inquietante, del secolo della psicanalisi e del nichilismo, dell’angoscia e dell’ansia, ma anche di straordinarie trasformazioni formali nella poesia e nell’arte. Rilke è già un classico mentre si profila come il più grande dei poeti moderni.
Quante esistenze febbrili, erranti, bruciate da viaggi e amori, conosciamo, nel mondo dei letterati e dei pittori dal romanticismo in poi, che esauriscono le loro energie in se stesse, in una combustione sincera o letteraria e artefatta a seconda dei casi, ma priva di risultati, priva dell’opera? La vita di Rilke no, sembra percorrere un tracciato magico: da Praga, città di nascita, a Vienna, Monaco, Berlino, Firenze, Viareggio, Varsavia, Mosca, Pietroburgo, Roma, Capri, Arles, Avignone, con le amatissime Parigi e Venezia, vale a dire il cuore dell’Occidente e la porta occidentale a Oriente. «Non avevo residenza fissa» scrive nel Testamento. Vagando di città in città, non si perdeva ma proseguiva la sua ricerca dell’Altrove, il fine della poesia maggiore, a patto che sia visibile, leggibile, qui e ora, da dove la ricerca è partita.
Analogamente la lista dei nomi femminili che segnano la sua vita sarebbe altamente competitiva con l’elenco delle città, con una sostanziale differenza: ogni città è una meta, un punto di passaggio, pur denso e ricco, mentre ogni donna, dalla prima fidanzata Vally a Lou Andreas Salomé, da Paula a Clara, che sposerà e da cui avrà una figlia, dalla pittrice Klossowska alla principessa Marie Von Thurn, a cui dedicherà il suo capolavoro, le Elegie duinesi, ogni donna è un centro, destinato a non svanire mai, fissando una costellazione amorosa inscindibile dalla creazione poetica. Alla ricerca di una sede definitiva, un altrove, alla ricerca di un amore onnicomprensivo: sembra poco, e può essere una chimera da poeta ingenuo. Con Rilke non è così, il sogno si compie, la sua poesia emana l’azzurro dell’oltremondo ma parla come pietra scritta, vive la vertigine dell’amore fisicamente e nello stesso tempo nella sostanza trasparente dei sogni e dei capolavori di ogni arte.
Rilke è un medium tra due tempi e due età dell’uomo, è il poeta che esprime massimamente, nel tempo moderno, la sostanza invisibile del visibile: non a caso elegge a protagonisti di tanti suoi capolavori gli Angeli, messaggeri, esseri che mettono in comunicazione il cielo e la terra, o Hermes, il dio greco degli annunci, il volatile messaggero dell’Olimpo, e diviene centrale nella sua poesia la figura di Orfeo, il mitico poeta greco che con la sua voce e la sua lira, con il miracolo della poesia, incantava alberi e pietre, animali mansueti e feroci, fino a commuovere le cupe divinità dell’Oltretomba. Rilke a un certo punto teme che la sua voce, capace di tramutare in poesia qualunque cosa, non basti, come non era bastata a Orfeo per salvare la moglie dal buio regno delle ombre, non accetta che la poesia perda la realtà tramutandola in sogno, cerca una materia dura e opaca, e attende che questo prodigioso canto del mondo abbia luogo con le a lungo rimandate Elegie duinesi, che nasceranno di getto, accanto ai non meno straordinari Sonetti a Orfeo: due libri fondanti in cui la poesia si riprende non il dominio, ma la compagnia della realtà.
Mentre esce ora una nuova edizione delle Elegie duinesi, a cura di Michele Ranchetti e Jutta Leskien (Feltrinelli, pagg. 84, euro 8), segnalo a chi voglia accostare il poeta, non conoscendolo del tutto o conoscendolo bene, un libro straordinario di una scrittrice di razza: in Rilke. Biografia di uno sguardo (Ananke, pagg. 112, euro 13), Paola Capriolo fonde la sua prosa aurorale con una lettura saggistica profonda: il girovagare per vie parigine del poeta, la visione ammutolita della caccia ai piccioni, la percezione della propria malattia, «come la forma più drastica e crudele di quella separazione dalle cose che lo ha sempre tormentato e cui ha tentato di porre rimedio con gli ardui incantesimi della sua arte». Con successo, sappiamo, e lo sa benissimo Paola Capriolo. Ma entrare in questa piega non è da tutti. In questo libro magistrale l’autrice svela molto su Rilke, svela e insegna moltissimo sulla relazione tra poesia e vita.
«Il Giornale» del 1 marzo 2007

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