01 marzo 2007

Sul commercio di embrioni umani un clima di sostanziale resa

Si superano confini finora soltanto impensabili
di Carlo Cardia
Un clima di assuefazione, e di sostanziale resa a nuovi poteri, si va estendendo attorno ai temi della genetica, con il superamento di confini soltanto ieri impensabile. Dalla Gran Bretagna giunge notizia che la possibilità di alienare ovuli dietro contropartita in denaro è vicina a realizzarsi. E giunge notizia di un disegno di legge che autorizzerebbe la manipolazione genetica degli embrioni umani, per il momento a fini di sperimentazione, più avanti a scopi riproduttivi. Ciò che colpisce, diciamo pure sconvolge, non è soltanto la gravità delle prospettive che si aprono con l'abbattimento di questi confini, ma il silenzio con il quale le notizie sono accolte in parte della comunità scientifica, in tanti ambienti culturali, a cominciare dai nostri. Stanno venendo meno le ultime barriere sulle quali pure tutti sembravano d'accordo sin dall'inizio delle discussioni in materia di bioetica: il rifiuto del profitto nelle disponibilità genetiche, la condanna di principio della manipolazione su embrioni umani per migliorare la specie. Soltanto qualche anno addietro un autore di bioetica come Jean-Yves Goffi rimproverava agli antirelativisti di difendere ad oltranza determinati principi per paura della "china fatale". La china fatale consisterebbe nel fatto che, accettando alcuni compromessi, inevitabilmente si giungerebbe poi ad abusi spaventosi da evitare comunque. Dalle unioni civili si passerebbe al matrimonio e alla adozione per coppie omosessuali. Dall'eutanasia moderata si passerebbe al suicidio assistito. Dalla fecondazione artificiale si passerebbe alla manipolazione degli embrioni. Goffi negava che si sarebbe giunti a tanto. Oggi egli si trova nella scomoda posizione di chi è smentito clamorosamente dai fatti in tempo quasi reale: in pochi anni, in alcuni paesi, si è percorsa tutta la china fatale che era possibile percorrere; oggi si superano quelle colonne d'ercole che si ritenevano insuperabili. Ma in una condizione preoccupante e grave ci troviamo tutti noi, si trovano le società occidentali che assistono inerti ad un declino etico che non si arresta più. La logica del profitto, oggi per qualche centinaia di euro domani per molto di più, riduce la persona nella sua individualità più intima a merce e apre le porte a nuove forme, solo velate, di servitù degli esseri umani, della donna in particolare. La manipolazione degli embrioni, pur formalmente inibita dalla normativa europea, sarà applicata prima per qualche lieve ritocco, il colore dei capelli o degli occhi di cui parla la letteratura specializzata. Poi, come già ha annunciato dalla stampa, per avere un figlio sempre più sano, forte, intelligente. Con un senso di superiorità verso gli altri, verso coloro che sono soltanto esseri normali, con le loro debolezze e i loro limiti. Chi non è neanche normale verrà emarginato e rifiutato. Quasi la prefigurazione di una selezione della specie per i più ricchi, e per i più cinici. Nel frattempo, la coscienza si assopisce, si stemperano i valori che la ispirano e la arricchiscono, si accetta tutto ciò che la tecnica realizza giorno dopo giorno, si perde il senso di sé e della preziosità della vita. È la fine non soltanto delle concezioni religiose e trascendenti, ma di quell'umanesimo che pure ha animato e sorretto tante cose buone della modernità. Sta qui, forse, il problema vero della nostra epoca. Nell'accettare la realtà materiale e i suoi sviluppi come padrona nostra e della nostra coscienza. E nell'ascoltare quasi indifferenti le voci che si richiamano ai valori più alti, come fossero voci tra le altre voci, senza che esista più un metro di giudizio, un criterio di valutazione, una vera possibilità di scelta. C'è, invece, un'alternativa capace di smuovere il clima d'inerzia nel quale siamo immersi e di suscitare l'impegno di uomini e donne. È quella, come altre volte nella storia, di tornare a mettere al centro delle scelte culturali, di quelle legislative, la persona nella sua unicità e irripetibilità e di sostenere l a vita in tutte le sue manifestazioni come qualcosa di prezioso e di insostituibile. Si tratta di una alternativa che supera la contingenza e la quotidianità ma chiama in causa la religione, la cultura, la politica, perché riguarda tutti e investe il futuro della modernità.
«Avvenire» del 28 febbraio 2007

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