13 marzo 2007

Un muro da abbattere

È quello tra i pro life e i pro choice sull’aborto: una prova per veri laici
Di Giuliano Ferrara

Sono passati quasi trent’anni dall’approvazione della legge sull’aborto, e c’è un muro da far cadere. Per gli antiabortisti vecchi e nuovi, e non solo per i cattolici, questo terzo di un secolo ha portato nuovi significati e nuove riflessioni. L’opposizione di principio all’atto con cui è tolta una vita dal seno di una donna incinta resta, ed è più che comprensibile, ma si mescola con una inclinazione sempre crescente a capire, talvolta nella logica del male moralmente minore, l’impossibilità di combattere l’aborto con la persecuzione legale, la necessità di entrare con intelligenza dentro l’elemento tragico dell’esistenza e questa sua variante ancestrale che è il rifiuto della maternità. Per gli storici avversari dei pro life, i pro choice, coloro che hanno affermato il diritto della donna di scegliere fuori della clandestinità, ma in un contesto di tutela della maternità e della vita, e non di arbitrio, si sta avviando forse un discorso critico, non facile ma necessario. Magari vanno ancora alle manifestazioni propagandistiche e ideologiche in difesa della 194 da attacchi neo-abrogazionisti che non esistono, ma la cui evocazione consola e aiuta a non guardare la realtà in faccia; però i nuovi dati di questi trent’anni, dagli studi sul dolore del feto al monitoraggio del suo sviluppo precoce, fino al rischio eugenetico della soppressione del malato invece che della sua cura, con tecniche probabilistiche le quali possono condurre e conducono all’aborto del vivente umano in circostanze atroci, come quelle di Firenze, generano un’ansia e uno stimolo razionale fino a ieri impensabili.
(Diverso è per chi tratta l’aborto come un diritto proprietario che sancisce una devastante concezione della modernità, portando l’autonomia della donna nella procreazione a un esito semplicemente nichilista, con conseguenze barbariche sotto gli occhi di tutti: per loro il tempo si è fermato e la prospettiva si è incupita fino al punto di predicare l’eutanasia neonatale. Con questa posizione dialogare è un po’ difficile. Anzi, è molto difficile.)
Il muro da far cadere nel dialogo possibile è quello dell’irrazionalismo e del rifiuto del principio di realtà. Lo scontro tra valori non porta in alcun luogo, se non in qualche anfratto della coscienza in cui si misurano legittimamente i valori stessi: io sostengo il valore primario della vita, tu sostieni il valore dell’emancipazione della donna da un destino che la natura assegna al corpo femminile e la civiltà deve riassegnare alla libera volontà femminile. Invece il confronto con i fatti, cioè la capacità di ragionare sperimentalmente e laicamente in base ai cambiamenti intervenuti negli ultimi trent’anni, ha portato e può portare molte donne, molti medici, molti neonatologi, molti ginecologi, molti uomini e donne pubblici che lavorano negli ambiti della legislazione, del diritto e della cultura, a rivedere le loro posizioni originarie. Bisogna avviare quel dialogo e abbattere quel muro.
«Il Foglio» del 13 marzo 2007

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