10 marzo 2007

Uno tsunami dell'inutilità avvelena la posta elettronica

Gli spam sono il 66 per cento delle email in arrivo
di Francesco Ognibene
Due terzi esatti. Chi possiede e utilizza una casella di posta elettronica già l’aveva calcolato a occhio: ma sentirsi dire ieri dal Cnr con la precisione della ricerca che il 66% delle email in arrivo è costituto da spazzatura (in gergo spam) fa l’effetto di un ceffone: una tale montagna di messaggi destinati al cestino senza uno sguardo – tra farmaci prodigiosi, casinò online, promesse di soldi a buon mercato e sesso facile – vuol dire che la comunicazione inutile ha sorpassato quella che si presume interessante. Il rumore l’ha spuntata sulla conversazione, l’interferenza sul messaggio. È come essersi progressivamente piegati a vedere la tv con un segnale sempre più distorto, sopportando l’insopportabile per ore al giorno, e svegliarsi dal torpore della propria rassegnazione solo quando arriva l’antennista, anch’egli peraltro impotente.
Lo tsunami delle lettere digitali del tutto inutili ha ormai superato il livello di guardia, e la proliferazione di quest’erba infestante finisce per sortire un duplice effetto. Anzitutto, com’è noto alle aziende, provoca un crescente danno economico: il tempo perso per ripulire la propria casella, il costo dei software di filtraggio, i virus che devastano il computer... Ma non basta. Ora il danno si estende da bilanci e macchine agli utenti, cioè a noi. Se infatti il dato del 66% è riferito al 2006, nel gennaio di quest’anno il Cnr ha già rilevato un’impennata della spazzatura digitale sino al 72% sul totale delle email, un’enormità. La compressione crescente dei messaggi considerati "puliti" dai filtri anti-spam inizia così a generare un senso di fastidio largamente condiviso, che va assumendo persino un percepibile rilievo sociale per effetto della diffusione ormai larghissima della posta elettronica come ordinario strumento di comunicazione per milioni di italiani, dal lavoro alla vita privata. È come se mentre tentiamo di parlare con qualcuno irrompesse sistematicamente una voce fuori campo senza chiedere permesso, costring endoci a penosi slalom verbali tra crepitii e boati. Una cosa insopportabile. E infatti accade che questo malessere dilagante inizi ad affiorare anche nella semplice conversazione tra amici e colleghi, quasi un’emicrania collettiva che finalmente ci si confessa di condividere.
I più fatalisti sostengono che dallo spam ci si può liberare solo con sistemi informatici di protezione sempre più efficienti, ma il loro approccio "militare" non fa i conti con l’effetto di ripulsa che l’invasione della spazzatura sta iniziando a produrre in chi ha imparato a non poter più prescindere dalla posta elettronica al pari del cellulare, e che chiede ora solo come liberarsi dall’assedio. Quando il ciarpame si mescola alla comunicazione "sana" al punto da soffocarla si giunge infatti all’inseparabilità dell’uno dall’altra: non si tratta più di un fastidio da scrollarsi di dosso ma di una vera infezione. La posta dell’amico è filtrata e cestinata da software che non possono andare oltre il controllo formale, mentre quella dello spammer passa i controlli con mille astuzie, spesso recando nell’oggetto informazioni ingannevoli che richiamano messaggi innocenti. A chi diffonde spazzatura basta e avanza che un destinatario su mille "abbocchi" manifestando curiosità per il messaggio. Così nella casella della nostra email la partita tra la comunicazione e il caos, oggi decisiva per tutti i media, volge pericolosamente a favore di chi manomette il mezzo infischiandosene del messaggio. Qualcuno fermi il partito dei due terzi.
«Avvenire» del 3 marzo 2007

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