04 aprile 2007

Bersaglio scuola: tutti contro una

Le violenze filmate nelle aule, gli scandali dei prof...Si torna a parlare di crisi del sistema educativo, ma la verità è che per troppa gente lo studio non è più un valore Parla Paola Mastrocola
di Fulvio Panzeri
Dove sta andando la scuola italiana? Tutti puntano il dito contro professori e aule scolastiche, ma sono proprio loro i colpevoli di questa crisi dell'istituzione scolastica o è il modello educativo in genere ad essere entrato in crisi? Ne parleremo con alcuni scrittori in una serie di interviste. La prima a prendere la parola è Paola Mastrocola, professoressa e scrittrice, che ha sempre posto al centro dei suoi libri la necessità di un cambio di rotta rispetto alle difficoltà che si respirano tra i banchi.
Oggi la scuola italiana sembra profondamente in crisi, nonostante le riforme che cercano di cambiarne l'assetto e di introdurre elementi di novità. Cosa non va nel sistema scolastico?
«Credo che sia profondamente ingiusto dare tutta la colpa alla scuola rispetto a un degrado raccontato dai giornali solo nelle punte più sensazionali. Diciamocelo, una volta per tutte: se c'è una istituzione che è meno colpevole di altre, è proprio la scuola, perché è l'unica che cerca ancora di contrapporsi al degrado di valori che viene dal mondo esterno. La scuola cerca ancora di intervenire sulle questioni affettive, in qualche modo istituisce un'idea di disciplina e di onesta autorità e autorevolezza a cui in altri settori costantemente si abdica».
Allora, se la scuola assorbe un vuoto che viene dall'esterno, contro chi è necessario puntare il dito?
«Mi irrita sentire frasi generiche come "È colpa della società". Non è possibile rimanere sempre in questo ambito dell'astratto. La società si declina in istituzioni e ce ne sono alcune che sono veramente fallite, creando un mondo di adulti che si riflette negativamente sul pensiero e sulla crescita dei ragazzi».
Possiamo fare i nomi di queste istituzioni?
«Certamente. Io direi che sono in profonda crisi la famiglia, la politica e la televisione. Vedo genitori che sembrano ignorare che l'impegno educativo è oneroso e richiede tempo, fatica, sforzi. Il fatto di dire "no" alle richieste dei figli si contrappone nettamente alla sua necessità di spensieratezza. La politica non è da meno: è diventata cialtrona, irresponsabile, volgare, in balia di scandali, tra intercettazioni e leggi come quella dell'indulto che fanno perdere credibilità. Non abbiamo messaggi esemplari, oggi, dal mondo dei politici, dove trionfano privilegi e arroganza. Non c'è più il senso della serietà e della responsabilità. Infine indicherei il mondo dell'arte e dello spettacolo: la televisione, il cinema, i libri. Quando mi è capitato di vedere spezzoni dal Grande fratello non riuscivo a credere ai miei occhi. Da che parte si va, se non verso il nulla, tra le pupe e i secchioni e gli amici della De Filippi?».
Il problema è quello dei messaggi che passano ai ragazzi che, educativamente, sono pessimi. È così?
«La televisione è un esempio, ma il problema va allargato al mondo dell'arte che non veicola più messaggi alternativi, positivi ed esemplari. L'arte deve migliorare le persone, non peggiorarle e per questo ha una grande responsabilità».
Un esempio concreto, in relazione anche ad un effetto negativo sulla realtà del mondo giovanile?
«Un film che secondo me andrebbe ritirato per il potenziale di diseducazione che contiene: Notte prima degli esami oggi. Basta analizzarlo per capire i messaggi distorti che veicola: gli adulti fanno una figura catastrofica. Il padre è l'amante della professoressa di matematica del figlio. La prof esorta i ragazzi non a studiare, ma a far bene la partita di calcetto. In tutto il film non si vedono lezioni né qualcuno che sta studiando, tutti sono impegnati a pensare ad avventure sentimentali. Fa parte anche questo del mondo dei ragazzi, ma non può essere mostrato come il loro unico interesse. Impressionante è poi il finale: lo studente passa la notte in treno facendo sesso con la ragazza, quindi si trova in un'altra città, chiama il padre che va a prenderlo senza chiedergli niente. Arriva in ritardo e a questo punto il presidente di commissione non lo ammette. Per protesta i compagni abbandonano la sede degli esami e il presidente ritratta la sua decisione e ammette tutti. Il messaggio finale quindi è quello di un adulto complice del mondo giovanile, che se dà una regola subito la ritratta. E in più c'è una frase detta dal padre: "Sbagliando non si impara". Non è possibile. È un film dannoso, non c'è ironia critica. Nessuno paga niente. Diventa un invito alla deresponsabilizzazione totale».
E ci ritroviamo con i filmati su Internet e le proteste sul bullismo…
«No, il bullismo è un'altra cosa. Quelle sono buffonate che lasciano il tempo che trovano e non meritano indignazione, tanto più che il continuo parlarne genera un processo d'imitazione. Fanno comodo ai giornalisti che hanno bisogno di sensazionalismo, ma queste imprese andrebbero lasciate cadere nel nulla cui appartengono».
Da dove viene il disagio della scuola, allora?
«Dal fatto che non c'è più nessuno che chiede di avere una meta, un obiettivo di crescita personale. I ragazzi sono lasciati liberi a se stessi, affinché non disturbino la quiete edonistica familiare. Il problema di noi insegnanti è che non sappiamo più che cosa insegnare e se pretendere lo studio o no. Le innovazioni proposte dai vari ministri che si sono succeduti in questi anni rischiano di lasciare la scuola in un cumulo di macerie. Non c'è nessun progetto di ricostruzione della montagna. Ognuno deve trovare la sua strada, inventarsi la propria didattica. Oggi si vuole una scuola personalizzata sull'allievo. L'istituzione invece per poter crescere e poter continuare ad avere credibilità deve reggersi su principi condivisi. Saltato il sistema della condivisione, con la crisi delle istituzioni, la scuola brancola nel buio e deve affidarsi alla buona volontà e del buon senso dei professori. Oggi la scuola ha tutti contro, i genitori per primi, che non vogliono che il figlio impari a studiare ma sia solamente pro mosso; alla fine vincono loro, perché nella scuola di massa l'utenza ha sempre ragione. Non è ammissibile. La scuola deve sapere dove andare».
«Avvenire» del 27 marzo 2007

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