04 aprile 2007

Bradbury: negli Usa l’apocalisse può attendere

Lo scrittore si confessa mentre va in scena a Torino il suo pessimistico «Fahrenheit 451»
di Claudia Provvedini
«Un grande Paese in cui ha ancora senso la parola speranza»
È mattina in California, prime ore della mattina, in casa Bradbury. «La mia giornata comincia presto. Ho molto da fare», spiega lo scrittore, noto in tutto il mondo per quel romanzo, Fahrenheit 451, che prefigurava un futuro apocalittico e senza libri. Ma che è anche elogio della giovinezza, della diversità, della speranza. «La speranza è possibile perché noi negli Stati Uniti abbiamo una grande democrazia e la possiamo insegnare al mondo. Non importa che cosa dice la gente di noi. A centinaia di migliaia sono immigrati qui da ogni parte, ne abbiamo accolti da tutto il mondo. Se noi americani fossimo così cattivi, forse che in così tanti continuerebbero a venire e a restare qui?», si chiede l’86enne Bradbury, dotato mezzo secolo fa di una gran vista, una precoce presbiopia sul futuro prossimo. Ma se il suo Cronache marziane ha ancora qualche miglio fantastico da percorrere, Fahrenheit 451 è alla porta di casa. O di scena. Con la regia di Ronconi, su progetto di Elisabetta Pozzi, attrice sensibile, quasi sensitiva, il romanzo arriva infatti ora in teatro in Italia, a Torino. Meglio, vi ritorna. Bradbury è «italiano» di palcoscenico da quasi vent’anni per via di Pandemonium Teatro di Bergamo, compagnia nata da un festival di fantascienza dedicato proprio all’autore americano. I suoi racconti fantastici, creati negli anni Cinquanta, sono diventati dunque «reali» adesso. Viene da chiedersi da dove prendesse allora l’ispirazione: da una fervida, vivacissima immaginazione oppure da personali, segrete paure? Bradbury ammette entrambe le fonti, ma «se in parte si trattava di immaginazione, dall’altra io stavo crescendo, diventando adulto, avevo trent’anni e assistevo terrorizzato all’impatto crescente della televisione sulle nostre vite. E nella sfera della creatività». Lo schermo tv davanti agli occhi, «in quello schermo avevo visto i falò di libri bruciati da Hitler per le strade di Berlino. Dietro di me, invece, nella memoria c’erano giganteschi fantasmi. Dietro di me avevo, come sfondo, l’immenso incendio che distrusse la biblioteca di Alessandria cinquemila anni fa». I libri. Quando pronuncia la parola, sembra soffiarla, toccarla con delicatezza. «Sono un uomo-libro. Non ho mai frequentato una scuola superiore, mai andato in un college. Da autodidatta, mi sono educato da solo nelle biblioteche. Le librerie sono il centro della mia vita. Da lì vengono tutte le mie idee. Ero preoccupato per la loro sopravvivenza, non importa dove, non importa quando». Non è un caso, allora, che proprio ad una persona giovane, una ragazza, forse non consapevole della sua «missione», Bradbury affidi il compito di testimoniare l’amore per i libri e di trasmetterlo al protagonista, il pompiere Montag. Si direbbe che Ray abbia una grande fiducia nei giovani... «Non esattamente, non in tutti. Solo in quelli che frequentano librerie e leggono libri "in carne ed ossa"». E spiega: «Internet e la presenza di così tanti aggeggi tecnologici mescolati in ogni momento della nostra giornata, generano confusione e non portano educazione. Spero che in un modo o nell’altro si possa riportare la gente a leggere libri e che il nostro sistema scolastico insegni a leggere e a scrivere molto, molto più presto di adesso, ai bambini piccolissimi. C’è un sacco di bambini "vecchi" in giro che non sanno più nè leggere nè scrivere. Dobbiamo invertire marcia». Hollywood si sta scatenando nel ricavare film dalle sue storie, quarant’anni dopo che ci era arrivato il francese Truffaut. «Si accalcano adesso perché sono stupidi. Io scrivo da oltre settant’anni. I primi film tratti da miei racconti risalgono al 1953. Ne cito due: Il risveglio del dinosauro e Destinazione Terra». Un americano famoso vorrebbe oggi dirigere Fahrenheit... «Mel Gibson. Ha i diritti di remake da dieci anni. Ha fatto scrivere dieci sceneggiature diverse. Ridicolo, è già tutto scritto. Idem per Cronache marziane. Mi viene in mente quello che mi disse Sam Peckinpah, quando voleva girare Qualcosa di sinistro sta per accadere: Strappo le pagine del tuo libro e le infilo dentro la macchina da presa». Nel caso di Fahrenheit, forse le dovrebbe bruciare. Capiterà nella messa in scena più attesa di questa stagione italiana, incalziamo, ma Bradbury non si scalda. «Non ho modo di sapere se e in cosa possa essere diversa dalle versioni teatrali del passato. Sarà comunque folgorante, meravigliosa, fantastica».
«Corriere della sera» del 30 marzo 2007

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