07 aprile 2007

Denaro, tarlo della società

Uno studio di Andrea Zhok denuncia: «La pratica monetaria erode pilastri come individualità,comunità e ambiente»
di Iacopo Guerriero
«I soldi non sono bene o male in sé, ma solo il frutto di processi storici. Alla base degli scambi resta però la logica del dono»
Il progetto è ambizioso, è il tentativo di una nuova critica allo "spirito del denaro". Una speculazione che va oltre i termini di liberismo, capitalismo, mercato. Questo è il problema, perché «a prescindere dal gioco dell'idolatria o demonizzazione di Marx, il punto è che ad un secolo e mezzo di distanza il primo resoconto del significato storico del capitalismo rimanga quello più comprensivo. La mia ambizione iniziale era innanzitutto quella di collocare l'oggetto di quell'analisi in una cornice storica ed antropologica più ampia». Andrea Zhok, docente di Filosofia della storia all'Università di Milano, ha scritto un saggio, Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo, diviso in tre parti: analisi della logica della mediazione in denaro, ragioni della nascita della pratica monetaria, studio dell'infrazione delle diverse identità determinate dalla pratica stessa.
Professore, lei utilizza antropologia, storia economica e sociale per approfondire nascita ed evoluzione dello "spirito del denaro". Ripercorriamo le tappe dello sviluppo.
«Innanzitutto si tratta di vedere se e come lo scambio sia una dimensione essenziale nella natura umana. Lo scambio, nel senso di una transazione che mira ad ottenere un vantaggio oggettivo individuale, si mostra come un prodotto tardo e secondario. Esso presuppone una dimensione diversa, che non mira ad un vantaggio oggettivo individuale, bensì ad un riconoscimento intersoggettivo. Questa seconda dimensione la richiamo con l'espressione di ‘‘economia di dono''. Le transazioni di dono sono e rimangono il basamento senza cui gli scambi in senso stretto non possono sussistere. Parlando di ‘‘dono'' non si intende qualcosa di sublime o altruistico: il dono è ad esempio la dimensione tipica in cui avvengono le transazioni nella società omerica, dove certo non mancano ambizione o violenza».
E poi?
«L'analisi storica cerca di vedere l'emergere del meccanismo dello scambio ed il suo impatto. Protagonista di questo passaggio è il dena ro, o meglio, visto che il denaro non è una ‘‘cosa'' ma un modo di operare, è la ‘‘pratica monetaria''. Ho scelto esempi storici per esporre al meglio alcuni passaggi fondamentali nella storia del denaro: la sua nascita (Mesopotamia), la nascita della sua dimensione sovranazionale (Atene), la prima grande prova storica della sua capacità di dissolvimento della cultura di dono (Roma tardo repubblicana e tardo imperiale) ed infine la sua trasformazione in ‘‘capitale'' (Rivoluzione industriale in Inghilterra). In ciascuno di questi momenti assistiamo ad alcune costanti nella pratica monetaria, come la capacità di conferire potere e di logorare le radici, ma vediamo anche di volta in volta un rinascere della pratica monetaria in forme differenti».
Perché definisce «frutto alla lunga velenoso» la mancanza di limiti per le transazioni monetarie?
«Ne parlo come di un frutto naturale ed al tempo stesso velenoso. Naturale, nel senso che non è il prodotto né di un errore, né di una cospirazione: il denaro nasce dall'interazione di esigenze operative e tendenze assiologiche ineludibili nell'uomo. È un'illusione (spesso percorsa nella storia) quella di pensare di poter senz'altro abolire il denaro: esso riemerge sempre dalle sue ceneri, non appena viene meno l'esplicita volontà di sopprimerlo. E tuttavia è un frutto che lasciato alla sua maturazione spontanea diviene velenoso, in quanto è mosso da una logica (quella dello scambio concorrenziale) che tende ad estendersi indefinitamente, e che quanto più si estende tanto più acquista potere per estendersi ulteriormente».
Quali sono gli orientamenti pericolosi per il nostro contesto sociale e privato?
«Ciò che opera la distruzione non è il denaro in senso generale, ma una variabile di cui tento una determinazione tecnica, e cioè il potere del denaro all'interno di una certa società. Per effettuare scelte razionali un soggetto deve avere un'identità stabile, relazioni comunitarie ed istituzionali prevedibili e deve operare le scelte in un ambiente circostante relativamente stabile nel tempo. La pratica monetaria, per ragioni costitutive, erode sistematicamente tutti e tre questi pilastri: rende fragili le identità personali, crea le condizioni per una crescente inaffidabilità della cornice comunitaria ed istituzionale, produce una sistematica erosione dell'ambiente circostante (ecologico, ed urbanistico). Ergo, tende a rendere insensata la funzione di scelta razionale su cui pretende di basarsi».
La secolarizzazione e il relativismo possono essere anche come un collante ideologico per le tensioni macroeconomiche che lei critica?
«Il relativismo non è un ‘‘errore morale'' ma innanzitutto una pratica di vita (o di sopravvivenza) in un contesto storico informato dalla pratica monetaria. L'impatto sul relativismo del razionalismo scientifico sarebbe insignificante se non s'incardinasse, attraverso la tecnologia, nella dimensione di mercato. C'è un senso in cui il relativismo (insieme agli altri fattori di ‘‘liquidazione'') non è solo effetto del potere del denaro, ma lo nutre a sua volta, ed è in quanto fattore che accresce l'insicurezza (in tutti i sensi del termine). La crescita del potere del denaro dissolve comunità, ambienti; tale dissoluzione genera insicurezza e in un sistema di scambio concorrenziale all'insicurezza si fa fronte cercando di aumentare il cuscinetto monetario tra sé e ciò che genera insicurezza. Ciascuno cerca di collocarsi in una posizione abbastanza alta da non dover temere lo tsunami, se e quando dovesse avvenire».
Esistono rimedi?
«Questo libro ha l'ambizione di produrre una nuova diagnosi, in parte una prognosi, non ancora una terapia. Anche se il tempo è maturo per tentare di proporre un modello transattivo alternativo, esso va pensato fino in fondo e nei dettagli. Il problema di fronte a cui si trova il nostro tempo non è quello di un attacco proditorio del male, ma quello della placidità un po' lamentosa, ma sostanzialmente imbelle, con cui ci stiamo dirig endo ad occhi aperti verso un baratro».

Andrea Zhok, Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo, Jaca Book. Pagine 377. Euro 26,00
«Avvenire» del 7 aprile 2007

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