08 aprile 2007

E il colore si fece musica

Si chiama «sinestesia» e non è altro che l’accostamento di percezioni che appartengono a sfere sensoriali diverse, come associare le parole ad un gusto, i suoni alle pennellate dei pittori. Un fenomeno una volta cantato dai poeti e che oggi interessa i neuroscienziati
di Matteo Metta
«I profumi verdi» di Baudelaire e «l'urlo nero» di Quasimodo, «il pigolio di stelle» di Ungaretti e «il chiacchiericcio liquido» di Montale, senza dimenticare «la falce cieca» di Verlaine. Tra le figure retoriche che maggiormente si ricordano, anche quando gli anni del liceo sono passati da tempo, c'è sicuramente la sinestesia: l'accostamento di percezioni che appartengono a sfere sensoriali diverse. Quello che forse a scuola non ci hanno detto, è che la sinestesia non solo è materia cara ai simbolisti francesi e agli ermetici italiani, ma anche a neuroscienziati e psicologi della percezione. Perché in alcune persone, o meglio nel loro cervello, i cinque sensi non restano separati ma si confondono continuamente creando intrecci di sensazioni davvero bizzarri, chiamati appunto sinestesie o fenomeni di sinestesi.
Che poi tra questi soggetti - uno su duemila - siano annoverati anche Rimbaud, che, come ci fa sapere nella poesia Vocali, vedeva alcune lettere colorate («A nera, E bianca, I rossa, U verde, O azzurra»), oppure Baudelaire che in Corrispondenze dichiara apertis verbis che «i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi», questo è solo frutto della maggiore incidenza probabilistica che favorisce i creativi.
Gli esperti dell'Università californiana di San Diego, in base a calcoli fatti in quattro anni di ricerche, hanno appunto stimato, che otto sinesteti su dieci sono artisti. Fino al 2000, le ricerche sulla sinestesia erano piuttosto limitate, oggi invece gli istituti scientifici che se ne occupano sono sparsi in tutto il mondo, ognuno con una propria specializzazione.
A Edimburgo, Julia Simmer ha dedicato numerosi studi alla sinestesia lessico-gustativa, scoprendo che è abbastanza comune la tendenza ad associare le parole a un gusto. Per esempio il sapore di menta i sinesteti lo sentono non solo quando viene pronunciata la parola corrispondente (in inglese mince), ma anche una parola di suono simile (come prince, principe). Particolare curioso: l'associazione funziona anche con le immagini. Una donna vedendo la foto di un grammofono, pur non ricordando come l'oggetto si chiamasse, ha comunque sentito il gusto di cioccolato, che è quello che normalmente le evoca la parola grammofono.
A Zurigo, il neuroscienziato Lutz Jäncke studia le contaminazioni tra musica e sapore (sinestesia melo-gustativa). Dei musicisti di cui si è servito, la più dotata è risultata Elizabeth Sulston. Sin da bambina non solo era capace di vedere colori mentre ascoltava musica, ma quando ha cominciato a suonare il piano si è accorta di sentire dei sapori ben distinti in bocca: una terza minore per lei è salata, mentre una sesta minore sa di crema. Depistata ad arte, ha manifestato una sorta di cortocircuito sensoriale con la conseguente difficoltà a riconoscere gli intervalli giusti alla velocità consueta. Quindi non stava bluffando. Allo stesso modo il ricercatore Phil Merikle, dell'Università di Waterloo in Ontario (Canada), ha dimostrato come i sinesteti che fanno corrispondere i numeri ai colori riescono a fare calcoli aritmetici molto più velocemente quando trovano già associato il numero al colore che hanno in mente.
Il professor Jamie Ward dell'University College di Londra si è addirittura ispirato a Kandinsky e al suo desiderio di «creare quadri che si potessero ascoltare e musiche che si potessero vedere». L'incrocio percettivo cromo-uditivo è difatti il più comune tra i sinesteti. In un esperimento, la musica suonata dalla New London Orchestra doveva essere descritta con disegni.
Sorprendentemente le immagini evocate dai sinesteti erano molto simili tra loro, a differenza di quelle rappresentate dalle persone "normali". Che i suoni si possano trasformare in pennellate di colore e viceversa, è anche il principio alla base degli studi condotti dal Cnr di Roma, nell'ambito del progetto europeo HELP, che hanno portato, finalmente tra tanta teoria, a un'applicazione pratica: la messa a punto di una tecnologia che potesse pe rmettere ai non vedenti di percepire i colori di un'opera d'arte attraverso la musica.
Dopo essere stata sperimentata sulla «Dama con licorno» di Raffaello, alla Galleria Borghese, la prima istallazione permanente è stata recentemente realizzata a Pompei, nella Casa dei Vettii, per rendere sinesteticamente percepibile ai non vedenti uno degli affreschi meglio conservati della città vesuviana: «Ercole che strozza i serpenti». A una sorta di bassorilievo bianco che riproduce tridimensionalmente il soggetto dell'affresco, traducendolo in maniera tattile, è associata una musica che riproduce "scientificamente" i colori per mezzo di un algoritmo. Quest'ultimo fa corrispondere le tre variabili del colore (tonalità, luminosità e intensità) alle tre variabili del suono (timbro, altezza, intensità). E la complessa gamma cromatica diventa magicamente sinfonia musicale.
«Avvenire» dell’8 aprile 2007

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