04 aprile 2007

La triste Europa senza figli

di Eugenia Roccella
Un’Europa triste, priva di entusiasmo e di energie vitali, abitata da pensionati che vogliono dormire sonni tranquilli, quella dipinta dal Rettore Gérard Dumont, docente di Demografia alla Sorbona. Un continente dove solo a fatica, e solo in alcuni Paesi, si riesce a mantenere il cosiddetto tasso di sostituzione, cioè 2,1 figli per ogni donna in età fertile; dove i bambini li fanno soprattutto gli immigrati, di prima o seconda generazione, mentre nelle grandi città come Roma, se una donna si mette ad allattare il proprio piccolo seduta al tavolino di un bar, viene cacciata perché dà scandalo.
L’incontro organizzato venerdì scorso dal Centro di Orientamento politico presieduto da Gaetano Rebecchini e dalla Fondazione Magna Carta ha offerto i dati di quella che il Papa ha definito l’apostasia europea: un tradimento del passato (le radici cristiane) che sfocia in un rifiuto del futuro (il crollo demografico). In perenne transizione dal presente al presente, noi europei non riusciamo più a concepire la continuità delle generazioni, non sappiamo o non vogliamo trasmettere né vita né cultura. E abbiamo persino paura della verità. Lo Stato francese, racconta il professor Dumont, evita di fornire dati su quanti siano i Pacs tra omosessuali, e anche sul tanto vantato incremento di natalità si è aperta una polemica: alcuni studiosi, come Michèle Tribalat, hanno accusato l’Istituto nazionale di statistica di manipolare od occultare i numeri relativi all’immigrazione. In compenso in Francia si attuano da tempo quelle «audaci politiche familiari» che in Italia il Forum delle famiglie continua a chiedere ma non riesce a ottenere, come una tassazione che tenga seriamente conto del numero di figli.
Il crollo demografico, così accentuato in Italia, trascina con sé l’eterno problema delle pensioni. Negli ultimi anni qualche governo ci ha provato, a mettere mano al sistema pensionistico, ma attraverso ritocchi e aggiustamenti non si è riusciti a dargli un assetto definitivo. L’economista Mauro Marè, nel suo intervento al convegno, è stato chiaro: ora o mai più. Non si può rimandare oltre, non si può prendere tempo, o peggio, perderlo. Non tanto perché i numeri ci crolleranno addosso, ma perché non ci sarà più lo spazio politico per la creazione del consenso: la popolazione invecchia a un ritmo tale che tra una quindicina d’anni la società italiana sarà irrimediabilmente in mano agli anziani, a cui il potere arriverà automaticamente, per via democratica.
Lo scenario sarà quello di una vera e propria guerra generazionale, che vedrà in campo i padri contro i figli, i nonni contro i nipoti. L’odio di classe tanto caro a Sanguineti sarà sostituito dal rancore dei giovani, schiacciati dalla ferrea dittatura dei pensionati. Folle di ultrasessantenni chiederanno più badanti, più assistenza agli anziani, case di riposo, università della terza età, strutture per lungodegenze, altro che il quoziente familiare e gli asili nido. Un quadro fantasioso e troppo pessimista? No, a sentire il professor Dumont, che ha raccontato un episodio di cui è stato testimone: in un quartiere parigino la costruzione di una scuola superiore è stata bloccata da una protesta di anziani, che sentivano minacciata la propria pace quotidiana. I figli non sono più «piezz’e core», ma solo un gran fastidio.
«Il Giornale» del 2 aprile 2007

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