10 aprile 2007

«La vera morale dell’economia: il mercato e la trasparenza»

Capitalismo e competitività
Di Alessandro Profumo
Profumo: la concorrenza resta la migliore politica industriale
Accettare il valore positivo del profitto: è garanzia di crescita
Spiriti animali offre l’opportunità di riflettere su quello che viene oggi percepito, a ragione, come uno dei grandi problemi che interessano l’Europa, e l’Italia in particolare: la perdita di competitività. E lo fa ponendo l’accento sul valore del mercato e della libera concorrenza come soluzioni per uscire da questa situazione. Non posso che essere in sintonia con questa visione. Sono fermamente convinto, infatti, che per rilanciare la crescita occorra sfruttare al meglio gli strumenti di mercato al fine di avviare un processo di selezione di casi di successo che favorisca l’evoluzione del nostro Paese verso una struttura finanziaria e industriale più adeguata al suo livello di sviluppo. Il sottotitolo del libro introduce immediatamente un duplice tema: da un lato, parlare di concorrenza giusta implica la volontà di dare una definizione, appropriata e pertinente, di che cosa siano la concorrenza e i mercati competitivi, in un’epoca in cui molto si parla di questi argomenti, ma spesso in modo confuso. Dall’altro, la concorrenza giusta non può che richiamare il tema dell’equità, nel tentativo di stabilire che cosa significhi coniugare il concetto di concorrenza (e di economia) con quello di etica. A questo proposito gli autori affermano con chiarezza come «la vera morale per l’economia sia solo nel mercato», evitando ogni accostamento tra etica ed economia. Ho sempre condiviso questo tipo di approccio perché sono persuaso che il concetto generale di etica mal si adatti a descrivere l’azione imprenditoriale. Si rischia infatti di semplificare eccessivamente il metro di giudizio sulla validità di un’attività che mi sembra vada piuttosto legata alla correttezza e alla trasparenza della quotidiana operatività, nonché all’assunzione delle responsabilità delle proprie scelte, necessariamente indirizzate al perseguimento del profitto in modo sostenibile nel lungo periodo. Accettare il mercato significa infatti riconoscere esplicitamente il valore positivo del profitto in quanto imprescindibile garanzia di continuità per l’attività d’impresa. Una efficiente economia di mercato, fondata su una concorrenza libera e leale, diviene essa stessa la migliore politica industriale in quanto stimola l’efficienza nella produzione, l’innovazione e il corretto utilizzo delle risorse. La concorrenza, inoltre, è vitale per assicurare una crescita economica sostenibile, occupazione e benessere economico diffuso. Ogni realtà aziendale dovrebbe interpretare l’intensificazione della concorrenza come una spinta ad accrescere la qualità dei servizi offerti e a ricercare migliori livelli di efficienza. È necessario, in altre parole, focalizzarsi su ciò che ognuno di noi sa fare meglio e sulla costante ricerca delle best practices poiché, come sottolineato nel libro, uno dei principali vantaggi di un mercato aperto è la possibilità di migliorarsi tramite un continuo confronto con le eccellenze presenti. Chi invece è leader nel proprio segmento di business deve, a sua volta, necessariamente avere una continua ricerca di posizionamento sulla frontiera dell’innovazione. Occorre, peraltro, essere pienamente consapevoli che l’evoluzione degli scenari competitivi sta rapidamente riducendo la durata della permanenza delle imprese ai vertici del mercato, costringendole a compiere sistematicamente scelte di discontinuità in quanto le uniche capaci nel lungo termine di: - garantire performance migliori rispetto al mercato; - assicurare un vantaggio competitivo; - alimentare una cultura dell’innovazione. Vorrei porre l’accento proprio sulla cultura d’innovazione, che ritengo essere il principale beneficio derivante da una corretta interpretazione e applicazione del concetto di libero mercato. Per l’azienda che rappresento, fare innovazione significa applicarla a differenti aree di attività: prodotti, mercati, organizzazione e, soprattutto, cultura d’impresa. Innovare nella cultura d’impresa significa un forte impegno nella ricerca di valori comuni da condividere in modo del tutto indipendente dalla loro localizzazione geografica, organizzativa o gerarchica, e il riconoscimento di una responsabilità dell’azienda che va ben oltre la mera creazione di valore per gli azionisti. Innovare deve quindi diventare un’attitudine capace di caratterizzare in modo profondo l’impresa sul mercato, permeare l’intera struttura aziendale e trovare applicazione in tutte le sue aree di attività. La mia esperienza mi ha permesso di verificare sul campo come la risorsa umana sia strategica nelle organizzazioni che pianificano il proprio rinnovamento e considerano la conoscenza come uno dei fattori produttivi più importanti. Il trasferimento della conoscenza si realizza soprattutto attraverso la valorizzazione delle risorse umane tramite una più intensa attività formativa, una delle leve più importanti per promuovere e sostenere i processi di cambiamento. In questo senso occorre impostare un sistema formativo che sia in grado di sviluppare una vera cultura imprenditoriale che, applicata alla finanza, deve riuscire ad assolvere il proprio compito: quello di offrire un adeguato sostegno all’economia, contribuendo alla rimozione di eventuali vincoli finanziari che ostacolano la crescita. Questo impegno richiede l’adozione di scelte concrete che devono essere finalizzate, innanzitutto, a un continuo adeguamento del rapporto tra banche e imprese alle evoluzioni di mercato. Laddove poi, come in Italia, tale rapporto sia basato su un sistema di relazioni poco formalizzate, bisogna avere il coraggio di ripensarlo, introducendo anche soluzioni dal forte carattere innovativo. Non è sufficiente, come spesso (a torto) viene detto con riferimento specifico al caso Italia, affidarsi solo ed esclusivamente all’intuito e alla fantasia come soluzione in grado di risolvere tutti i problemi. L’innovazione non è frutto di casualità né di genialità isolate ma è il risultato di una attività pianificata e condotta con grande disciplina, forte orientamento al risultato e attenta scelta della miglior tempistica per attuare l’iniziativa. L’intensità della ricerca dell’innovazione è strettamente legata al livello di competitività del sistema in cui si opera. Ecco perché diviene fondamentale poter contare su strutture economiche e produttive solide, sulla capacità di generare scenari di sviluppo credibili, di guardare lontano, di mettere in gioco le proprie convinzioni, di sottoporre alla disciplina del mercato il proprio prodotto, con trasparenza e nel pieno rispetto delle regole. Tutto ciò è però insufficiente se non viene accompagnato da un agire quotidiano contraddistinto da una grande responsabilità sociale, che significa saper fare bene il proprio mestiere. Mi tornano così alla mente le parole di Joseph Stiglitz, quando affermava che nell’azione economica è necessario seguire cinque precetti: l’onestà, l’equilibrio, la giustizia sociale, l’informazione e la responsabilità. Ritengo sia questo lo spirito che dovrebbe contraddistinguere l’attività imprenditoriale, in qualunque settore essa operi, affinché possa recitare al meglio il proprio ruolo per il rilancio economico del nostro Paese.

«Spiriti animali - La concorrenza giusta», perché il capitalismo senza vincoli non è «selvaggio» ma, appunto, «giusto». Sono il titolo, e la tesi, dell’ultimo libro di Ettore Gotti Tedeschi, il banchiere che rappresenta il gruppo spagnolo Santander in Italia. I tentativi di proteggere la concorrenza da se stessa, attraverso le autorità Antitrust, sono pretestuosi e controproducenti. Mentre solo una concorrenza senza vincoli è capace di garantire gli interessi di tutti. Idee, riportate nel libro scritto da Tedeschi con Alberto Mingardi, e precedute dalla prefazione di un altro banchiere, Alessandro Profumo, pubblicata integralmente in questa pagina. Edito dall’Università Bocconi, in libreria dalla fine della prossima settimana.
«Corriere della sera» del 7 aprile 2007

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