07 aprile 2007

Vietato vietare. La lobby del cinema comanda

Fa discutere il «per tutti» assegnato ad Apocalypto
di Umberto Folena
«Apocalypto», il filmone di Mel Gibson, sbarca oggi in Italia. Pare che narri gli ultimi giorni della civiltà maya, ma le paginate di anticipazioni sorvolano sulla trama, peraltro poco originale perché ricalcata su un collaudato schema del cinema d'azione hollywoodiano - massacro, cattura, fuga, inseguimento, vendetta - e si soffermano sulla violenza straripante, che un recensore riassume così: "Teste mozzate, pugnali infilati nella pancia, sgozzamenti, stupri, torture, massacri di donne e bambini inermi, cuori pulsanti strappati dal petto".
Si può discutere se tanta generosità di dettagli dipenda dall'esigenza dell'artista di esprimersi con il massimo realismo possibile, dalla furbizia del mercante nel piazzare un prodotto solleticando l'inesausto gusto dell'orrore del pubblico, o da una patologica pulsione sanguinaria di un Gibson che, dovendo scegliere tra moderazione ed esagerazione, comunque esagera. Fuori discussione invece dovrebbe essere che per bambini e ragazzi certi film sarebbe meglio non vederli; e poiché i genitori non possono sempre controllare quale film sceglie il figlio che va con gli amici al multisala, all'esercizio della responsabilità sono chiamati tutti, Stato compreso, secondo le proprie competenze e possibilità. Difatti esiste una Commissione censura, che ha peraltro classificato "per tutti" Apocalypto, diversamente da quanto deciso dai colleghi statunitensi (divieto ai minori di 17 anni), tedeschi e canadesi (18), olandesi (16) e irlandesi (15). I nostri rappresentanti dei genitori avevano chiesto, più modestamente, un divieto per i minori di 14 anni. Macché, neanche quello. Ad opporsi, spiegano, sono gli esperti di cinema e i rappresentanti di categoria. In altri termini, la lobby. Ma per quali motivi? Per difendere il diritto dei bambini italiani di godersi teste mozzate e coetanei smembrati? No, ci dev'essere qualcosa di più ghiotto e prosaico. Un caso identico scoppiò nel 2001 all'uscita di Hannibal, il film di Ridley Scott la cui scena più succulenta (letteralmente) vedeva Anthony Hopkins servire belle calde delle scaloppine di cervello di Ray Liotta sul piatto di Julienne Moore. Anche allora il film fu classificato "per tutti" mentre all'estero era stato vietato. Ed anche allora gli esercenti, in un soprassalto di responsabilità, esposero alla cassa un cartello in cui invitavano i ragazzi a non entrare in sala senza i genitori accanto. Dopo quasi sei anni siamo ancora al punto di partenza. Resta comunque da rispondere alla domanda: perché la lobby del cinema ha la manica tanto larga? Non sappiamo se sia questo l'unico motivo, ma un fatto è sicuro: un divieto, anche soltanto ai minori di 14 anni, impedisce a un film di essere trasmesso in tv in prima serata, confinandolo a notte fonda, con un danno economico considerevole. Idem per il mercato dell'home video. Alla faccia dei cartelli alle casse, infatti, se cercate di acquistare Hannibal su internet, lo troverete classificato "per tutti", due parole rassicuranti per i genitori che non abbiano memoria lunga e non siano cinefili.
Denaro, nient'altro che vile, banale denaro. Lo stesso denaro che manca alla Commissione censura, dove le assenze brillano più delle presenze. Una seduta viene pagata 25 euro lordi: chi smanierà per partecipare? Chi ci va per spirito di servizio, come i genitori. O per servire altri interessi. Denaro.
«Avvenire» del 5 gennaio 2007

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