07 maggio 2007

Chi odia l’America

Il saggio di Andrei Markovits, opinionista liberal, critica le tentazioni ideologiche del Vecchio Continente
di Ennio Caretto
«Le due facce della sinistra europea che ripete gli errori della destra: contro Bush e nemica d’Israele»
Uncouth Nation, «Una nazione volgare», sottotitolo Perché l’Europa detesta l’America, è l’ultimo e più polemico libro di Andrei Markovits, un noto germanista dell’Università del Michigan, uno dei leader intellettuali americani. Tirando le conclusioni di un dibattito iniziato anni fa sulla spaccatura tra l’America e l’Europa causata dall’intifada in Palestina e dalla guerra contro l’Iraq, Markovits sostiene la tesi che in Europa l’antiamericanismo e l’antisemitismo (che a suo parere coincide con l’antisionismo) rappresentano le due facce della stessa medaglia, anzi che il primo alimenta il secondo. «La virulenza dell’ostilità europea verso gli ebrei e verso lo Stato di Israele - scrive Markovits - non si spiega senza l’antiamericanismo. L’antisemitismo e l’antiamericanismo sono inseparabili, costituiscono un fattore unificante per l’Europa, ne rappresentano la lingua franca». L’antisionismo, aggiunge l’autore, è in più rapida crescita nell’Europa occidentale rispetto a quella orientale, proprio perché la seconda è meno antiamericana. Il germanista incolpa soprattutto la sinistra europea. «Mentre una volta - sottolinea - era antiamericana e antisemita la destra, ora lo è la sinistra». All’inizio del XX secolo, osserva, gli americani e gli ebrei apparivano alla destra europea come un pericolo modernista, i nemici dei valori tradizionali, mentre la sinistra li considerava l’avanguardia del progresso sociale, forze di riforma. Adesso invece la sinistra scorge negli americani e negli ebrei, dei quali Israele è il simbolo, l’espressione di ciò a cui si oppone: l’imperialismo, il capitalismo, la globalizzazione. «Il vecchio antisemitismo di destra si è trasformato nel nuovo antisemitismo di sinistra» dice Markovits. Secondo questo punto di vista, l’America e Israele condividono non soltanto lo spirito colonialista, ma anche il fondamentalismo religioso e si comportano da Rambo. Giudizi ai limiti della demonizzazione, ammonisce l’autore, che non si possono giustificare razionalmente. Andrei Markovits è un liberal, un ebreo romeno, trapiantato negli Stati Uniti, che si è tenuto in stretto contatto con l’intellighenzia europea. Precisa che l’antiamericanismo è un sentimento diffuso non tanto tra le popolazioni quanto tra le élite dell’Unione Europea e lo attribuisce alla loro paura di venire «americanizzate». Nel libro ne ricostruisce le origini storiche, citando una caterva di critici dell’America, da Heinrich Heine a Charles Dickens a Bertolt Brecht, fino a Dario Fo e - sorpresa! - all’ex campione di calcio francese Michel Platini. Ed evidenzia che il presidente George W. Bush lo ha aggravato «con le sue politiche, il suo comportamento, il suo modo di essere». Bush, afferma il germanista, rappresenta il peggiore stereotipo di americano, quello «arrogante, ignorante, volgare, sconsiderato e aggressivo». Ma neppure cambiando presidente e politiche, conclude, l’America scioglierebbe le riserve europee, sono troppo radicate. Conclusione discutibile: gran parte delle élite europee è antibushista, non antiamericana, risponde per esempio il filosofo politico Michael Walzer. La tesi di Markovits che l’antiamericanismo e l’antisemitismo si sovrappongono in Europa riscuote vasti consensi negli Usa. Al Congresso, il deputato democratico Steven Israel ha chiesto al Dipartimento di Stato di «esaminare ogni anno i testi di storia delle scuole straniere», non solo europee, per accertare se i bambini crescano antiamericani e antisemiti e se possibile prendere dei provvedimenti. L’editore Mortimer Zuckerman ha detto che l’Europa «è daccapo malata, incomunicabile e inaffidabile». A una tavola rotonda alla tv, la leader femminista Phyllis Chesler ha accusato l’Ue di avvicinarsi alle posizioni dell’Islam: «Israele è giudicato il piccolo satana, figlio del grande satana, l’America una potenza egemonica». La Chesler è una figura autorevole, autrice di due bestseller: Women and Madness («Le donne e la pazzia», ed. Palgrave Macmillan) e New Antisemitism («Il nuovo antisemitismo», ed. Jossey-Bass). Nel processo all’Ue, vengono addotti come testimoni a suo carico i pensatori francesi André Glucksmann, che giudica l’antisionismo una conseguenza dell’antiamericanismo, e Bernard-Henri Lévy, per cui l’antiamericanismo è legato all’antisemitismo, al fascismo e via di seguito, nonché il tedesco Josef Joffe, stando al quale la sinistra europea vede nell’America e in Israele «degli accoliti di Mammona e di Marte, due falsi dei». La politologa Melanie Phillips si rifà ai tre censurando le vignette dei giornali europei: sull’Independent inglese, lamenta, ne apparvero una della bandiera americana con la stella di Davide e una seconda di un carro armato israeliano con il vessillo Usa. Jeff Weintraub, dell’Università della Pennsylvania, non nasconde il proprio risentimento: «Noi ebrei e americani siamo oggi detestati non per ciò che facciamo, ma per ciò che siamo. Gli europei ci considerano moralmente e culturalmente inferiori, forse anche per soffocare il loro senso di colpa per non essersi opposti al nazismo e per avere permesso l’Olocausto». Su questo punto però non tutti sono d’accordo. Sebbene critico dell’Ue, Michael Walzer è convinto che antiamericanismo e antisemitismo siano un prodotto anche delle violazioni del diritto internazionale da parte degli Stati Uniti e di Israele: «È vero che gli europei tendono a considerarsi superiori a noi. Ma è altrettanto vero che in Palestina e in Iraq abbiamo compiuto alcuni eccessi». Walzer è ebreo, un frequente visitatore di Israele, ma come due insigni esponenti dell’ebraismo britannico, lo storico Eric Hobsbawm e il drammaturgo Harold Pinter, ha preso le distanze dalla strategia di Washington e Gerusalemme. Sulle stesse posizioni è l’ex presidente Jimmy Carter, l’architetto della pace di Camp David tra l’Egitto e Israele, secondo cui la fine della guerra dell’Iraq e la soluzione del problema palestinese ridurrebbero l’antiamericanismo e l’antisemitismo, o antisionismo, in Europa. Carter, Walzer e altri invitano l’Europa e l’America a farsi un esame di coscienza. L’Europa perché sembra non sapere più distinguere tra amici e nemici, al punto da additare nei sondaggi gli Stati Uniti e Israele quali i massimi pericoli per la pace (per gli americani lo sono invece, più realisticamente, l’Iran, la Corea del Nord e l’Iraq). E l’America perché la sua denuncia dell’Ue cela un certo antieuropeismo e finisce per screditare anche le critiche legittime all’operato americano e israeliano. Carter in particolare auspica che gli Usa incomincino a premere su Israele e disimpegnarsi dall’Iraq da un lato e a riformarsi internamente dall’altro. Per l’ex presidente, l’attuale simbiosi tra antiamericanismo e antisemitismo è un fenomeno passeggero e, quando esso sarà diminuito, i due mali potranno essere curati separatamente. Non basta accusare l’Europa, termina Carter, bisogna ovviare ai motivi che la inducono a farlo, dall’unilateralismo di Bush alla violenza insita nella società Usa: «Se ci riusciremo, riscopriremo che è più ciò che ci unisce di ciò che ci divide».

Il libro di Andrei Markovits «Uncouth Nation. Why Europe Dislikes America» è edito da Princeton University Press (pagine 302, $ 24,95)
«Corriere della sera» del 16 aprile 2007

Nessun commento: