09 giugno 2007

Come dire al figlio «sei nato in provetta»

Fecondazione assistita Svelare ai bambini la verità sulle loro origini? Un libro spiega ai genitori perché è bene farlo
di Daniela Natali
Fiabe e filastrocche per raccontare storie d’attesa, di pazienza e di tanto amore
Bisogna dire a un bambino che è nato grazie alla fecondazione artificiale? E se la fecondazione è stata eterologa? Pare impossibile, ma in quasi trent’anni dalla nascita di Louise Brown, capostipite dei bambini in provetta, e durante le tante polemiche sui limiti da dare alla procreazione assistita, queste domande sono state solo sfiorate. Unico punto discusso: il diritto del bambino, se nato da fecondazione eterologa, a conoscere il genitore biologico. Problema da noi apparentemente risolto da quando la fecondazione con gameti estranei alla coppia, nel 2004, è stata proibita. Diciamo apparentemente, perché le coppie che la richiedono all’estero sono sempre più numerose (vedi box a fianco). E in alcuni Paesi, meta di turismo procreativo, come la Svizzera, i donatori non sono anonimi. Restando all’Italia, si calcola che oggi quasi il 2% dei nuovi nati veda la luce con tecniche di procreazione artificiale. E se già non è facile raccontare come nascono i bambini, nel caso della fecondazione assistita le cose si fanno più complesse. Ad aiutare mamme e papà a spiegare ai figli «venuti dal freddo» come sono nati, ha pensato l’associazione «Mamme on line», nata nel 2003, che è diventata anche casa editrice e sta raggiungendo le librerie con «Mamma raccontami come sono nato», raccolta di fiabe e filastrocche scritte da «genitori della provetta». Ma è proprio necessario dire tutto ai figli? Certo una donazione di gameti potrebbe venire scoperta con un test del Dna, ma non è cosa che si fa tutti i giorni. E, dopotutto, che differenza c’è tra Pma, la Procreazione medicalmente assistita e un by-pass: sempre di terapie si tratta. Ma chi annoierebbe un bambino con un racconto sulle coronarie? «Paragone sbagliato. Ferme restando le decisioni dei genitori, io consiglierei di raccontare tutto. Perché la Pma, non è un by-pass - ribatte Tilde Giani Gallino, ordinario di psicologia dello sviluppo all’Università di Torino -. Va a toccare una sfera molto intima, anzi sarebbe opportuno aver superato gli eventuali problemi con la propria infertilità, prima di rivolgersi alla Pma. Se questo è avvenuto, sarà facile parlarne ai figli e, anche nel caso il padre non sia quello biologico, non per questo si sentirà diminuito. E la donna non sentirà di aver al fianco un compagno "debole", con il rischio di fantasticare troppo su un onnipotente donatore». Con l’ovodonazione le difficoltà possono essere minori, «perché - riflette Giani Gallino - il falso binomio fertilità uguale efficienza/identità sessuale pesa tradizionalmente più sugli uomini che sulle donne. I segreti, comunque, sono sempre gravosi. Si vive nell’ansia che qualcuno spifferi ogni cosa, magari dando spiegazioni distorte. Oppure marito e moglie si preoccupano che involontariamente possa loro sfuggire qualcosa. Parlare è liberatorio: la serenità che i genitori ne guadagnano si riverbera sui figli». Che parlare sia una scelta diffusa lo confermano i dati di Sos Infertilità: l’85% dei genitori italiani intende dir tutto ai figli, anche se la percentuale scende al 44% nel caso di eterologa. «Il fatto di rivolgersi a Paesi in cui i donatori di gameti non sono "segreti" - puntualizza Giovanni Micioni, psicologo e psicoterapeuta, dall’85 al lavoro nel Centro cantonale di fertilità di Locarno - non influisce più di tanto su una iniziale scelta di sincerità o silenzio. Silenzio per altro preferito con la motivazione di voler proteggere il figlio, evitando di "confonderlo"». Ma se si vuole parlare, quando farlo? «Già quando il bambino ha 2 anni, - risponde Micioni - per poi tornare sull’argomento verso i 5 con informazioni più articolate. Prima di questa età, quando i bambini fanno domande su come si nasce vogliono, non tanto sapere come sono nati loro, ma come si viene al mondo in generale. Intorno ai 5 anni, poi, i piccoli iniziano a costruire il loro romanzo familiare, fantasia cosciente d’aver genitori diversi da quelli reali, biologici, sociali o adottivi che siano. Queste fantasie permettono di meglio superare il conflitto edipico, spostando i sentimenti di gelosia e rivalità verso figure immaginarie». Questo accade per tutti, che cosa c’è di diverso per i figli della provetta? «Se un figlio avverte un clima di tensione, dovuto al non-detto, potrebbe radicarsi troppo in queste fantasie. E questo va evitato» chiarisce Giani Gallino. Ma come parlare? Nel libro citato ci sono «semino e ovetto» che si incontrano in un barattolo. E il principe Mirko che trova i semini «di principino» nel bosco... «Il simbolismo delle favole - conclude Giani Gallino - aiuta il bimbo ad avvicinarsi a una realtà che andrà poi rispiegata man mano che cresce. Ma non illudiamoci che sia meglio rimandare "certi discorsi" all’adolescenza. In adolescenza con i figli è già difficile parlare, figurarsi di temi come questi».
«Corriere della Sera» del 22 Aprile 2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

nel 95 sono stata sottoposta ad insem. vitreo di 5 embrioni al centro florence di firenze, dopo un invano tentativo, rimasi incinta da me. pero non avevo dato nessuna autorizz. cedere ai miei 5 embrioni.il prof. mencaglia disse che li aveva messi tutti e 5 , ma io mi sento che il grande prof. me li ha messi un paio per poi congelarli e riverderli a chi non puo avere bimbi. io mi sento che ho a giro qualche figlio mio nel mondo !!!!!