02 ottobre 2007

Saba: battesimo sì, ma senza catechismo

Uno scambio di lettere del poeta col vescovo Fallani e col gesuita Bassan rivela l’anelito alla fede cristiana dell’autore del «Canzoniere», morto cinquant’anni fa
Di Filippo Rizzi
Durante la malattia della moglie voleva ricevere il sacramento assieme a lei, però il cappellano gli chiese di seguire un corso e lui rinunciò: «Sarebbe come mettere la prosa al posto della poesia...»
Lui, ebreo agnostico, era affascinato dalla figura di Gesù, che «sostituiva al terrore di Dio, l’amore». La devozione nacque fin da bambino, quando la balia lo portava in una chiesa vicina al ghetto
Un «ebreo assimilato, illuminista, agnostico», secondo una felice immagine di Giorgio Voghera, un «uomo tormentoso e nevrotico che si guardava dentro», capace di sentirsi – come amava definire se stesso negli ultimi anni della vita – «un rottame dell’Ottocento che vive nell’epoca atomica». Ma anche figlio di una terra celebrata magistralmente nell’opera che lo rese celebre, Il Canzoniere: l’amata Trieste. Tutto questo è stato ed è Umberto Saba, che proprio in questi giorni, cinquant’anni fa, il 25 agosto 1957, si spegneva a Gorizia all’età di 74 anni. E proprio dagli scritti degli ultimi tempi emergono le sue ricerche esistenziali, la passione per la psicanalisi (di quella che descriverà come «la sua psicologia estenuata»), le domande di senso sulla vita e sulla morte, domande di un «uomo che entra nell’Assoluto», come ebbe a definirlo la sua amica e confidente Nora Baldi.
Su tutto questo oggi affiora prepotentemente il suo rapporto con la fede, la religione cattolica, e in definitiva con il mistero di Gesù. E un piccolo gioiello letterario come il carteggio tra l’autore del Canzoniere e il vescovo Giovanni Fallani Chi è Gesù. Domande di Umberto Saba permette, ancora oggi, di mettere in luce e di ricostruire la sua tensione e il fascino che egli, pur nella sua veste di «ebreo e agnostico», provava nei confronti di Gesù, la sua devozione alle orazioni della sera, all’angelo custode e a quella preghiera «così bella e universale» che è il Padre Nostro. «Da queste pagine – rivela oggi il teologo e critico letterario Luigi Pozzoli – emerge tutto il rispetto per il cattolicesimo, visto da lui come patrimonio accettato e condiviso con la religiosità popolare del suo tempo. (Si veda, ad esempio, in tutte le sue poesie il rispetto per i morti, i cimiteri, le processioni mariane). E così affiora l’ammirazione per la balia cattolica, Peppa Sabbaz, una seconda mamma per lui, che la sera lo conduceva con sé a due passi dal ghetto, alla chiesa della Beata Vergine del Rosario, e gli faceva recitare il Padre Nostro in sloveno. Un Gesù che per lui, nella maturità, è "un ponte tra l’umano e il divino" ma non è il Cristo della fede che è per noi cattolici. Un Gesù di cui però non accetta l’idea della Trinità che rimarrà sempre per lui il "quasi Dio, il vicinissimo a Dio"». E – come il poeta confiderà ancora a Fallani – sarà proprio la recita pubblica del Padre Nostro di fronte alle autorità religiose e civili di Trieste il gesto di congedo con cui vorrà dare l’estremo saluto, quasi un bacio testamentario, un osculum mortis, a sua moglie Carolina Wolfer, la sua «amata Lina» durante i funerali nel novembre 1956. «Saba non era né battezzato né circonciso – ricorda don Pietro Zovatto, docente di Storia Moderna all’università di Trieste e tra i massimi studiosi della religiosità nelle opere del poeta –, anche la moglie non era un’ebrea praticante ma non aveva ricevuto il battesimo. Dunque il poeta si poneva il problema di quale rito funebre utilizzare. Non poteva sopportare, come scriverà, "l’idea di un funerale laico". E così, con il permesso del prete cattolico, reciterà prima della tumulazione della sua amata Lina il Padre Nostro. Sarà un gesto forte che creerà in un certo senso "scandalo" nella Trieste del suo tempo. Tra le autorità presenti – oltre al sindaco, il democristiano Gianni Bartoli – c’era l’allora rabbino capo di Trieste. Ma Saba sentì in quella scelta il modo migliore per celebrare l’amore sconfinato per l’amata compagna di una vita, definita non a caso nel Canzoniere come il suo "porto"». Il rapporto con la fede e il cattolicesimo non si fermerà alla splendida amicizia con Giovanni Fallani, fine dantista, futuro vescovo e presidente della Pontificia Commissione per l’arte sacra. C’è anche una corrispondenza con due religiosi, con i quali lo scrittore affronta il tema di Gesù: il francescano Saverio Tapparello e il gesuita Alberto Bassan. E una costante di questo carteggio parallelo sarà la frase conclusiva di risposta ai religio si: «Caro Padre, preghi Dio anche per me». Di particolare interesse è soprattutto l’amicizia intrattenuta per più di dieci anni con padre Bassan e terminata con la morte del poeta triestino. «In queste lettere – rivela Paola Baioni studiosa di questo carteggio e ricercatrice all’Università cattolica di Milano –, da me pubblicate solo nel 2006 nella Rivista di Letteratura italiana, viene subito fuori la grande curiosità di Saba verso la religione, la sua ammirazione per la Compagnia di Gesù di cui voleva, attraverso la consulenza di padre Bassan, molto erudito e studioso di letteratura, conoscere la spiritualità e la storia». La ricercatrice rivela pure un aspetto inedito di quell’amicizia: il desiderio di Saba di fare una dedica stampata, e quindi pubblica, della sua opera Ricordi-Racconti «al pittore Renato Guttuso (comunista) e al padre Alberto Bassan (della Compagnia di Gesù)». «Come scrisse in una lettera a Bassan, la cosa non sarà poi fatta per non creare uno scandalo: siamo nel bel mezzo degli anni Cinquanta, gli anni di Don Camillo e Peppone. E Saba dà questa motivazione alla mancata dedica: "Perché l’imbecillità degli uomini avrebbe dati chissà quali significati"». In una delle ultime lettere a Bassan (il gesuita, classe 1919, è morto il 3 ottobre scorso ndr.) confiderà che la grandezza più bella di Gesù è stata quella di «sostituire al terrore di Dio, l’amore». Ed è proprio con l’aggravarsi della malattia della moglie che il celebre poeta accarezza l’idea di battezzarsi e di farsi cristiano «con la sua amata Lina». Un battesimo che – come scriverà Fallani – rimarrà, a differenza ad esempio di altri due intellettuali laici coetanei e con un rapporto controverso con la fede come Curzio Malaparte «solo del desiderio» o il caso eclatante del grande latinista, il comunista togliattiano Concetto Marchesi. «Nelle ultime lettere a monsignor Fallani – ricorda oggi Zovatto – Saba confida la sua idea di ricevere il battesimo assieme alla moglie, ma poi non se ne fa nulla perché il cappellano dell’ospedale gli chiede di frequentare un corso di iniziazione al cristianesimo. Vengono fuori così le leggendarie nevrosi di Saba e va a monte l’idea del battesimo». Il motivo del sacramento mancato si anniderebbe dunque nella ricerca di Saba di un gesto spontaneo e non dettato da un fatto burocratico. «Come scrisse allora il grande poeta – annota Zovatto – sarebbe stato "come mettere la prosa al posto della poesia"».
«Avvenire» del 15 agosto 2007

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