14 ottobre 2007

Scienza: chi la vuole atea?

di Giorgio Israel
Il tema del rapporto tra scienza e religione è sempre più materia di uno scontro non soltanto culturale ma addirittura politico che si manifesta in termini particolarmente accesi. Questo scontro rappresenta uno sviluppo particolarmente critico, in quanto il tema in oggetto coinvolge questioni molto complesse e delicate di storia della scienza e del pensiero scientifico, filosofico e teologico, che vengono spesso trascinate nell’arena in modo rozzo e strumentale. Appare quindi importante respingere le tentazioni di scendere a questo livello di diatriba e ripristinare un approccio rigoroso, oggettivo, documentato ed equilibrato alla questione del rapporto tra scienza e religione e delle sfide che esso pone nell’attuale società tecnoscientifica. È opportuno stendere un breve inventario delle strumentalizzazioni e delle deformazioni correnti nell’attuale dibattito, perché ciò consente di comprendere meglio in che modo esso possa riportato entro una cornice di razionalità.
I punti di vista che affermano che tra scienza e religione esiste una contrapposizione irriducibile, presentano una contraddizione epistemologica – che spesso si manifesta nelle forme di un contrasto tra persone che tuttavia condividono la medesima ostilità nei confronti della religione e sono convinte della loro inconciliabilità – e ricorrono a una serie di falsificazioni storiografiche. La contraddizione si presenta nella forma seguente. Da un lato si afferma che la religione è soltanto superstizione e dogmatismo, espressione del fondo irrazionale dell’animo umano, mentre la scienza è manifestazione piena della razionalità ed è l’unica via per l’acquisizione di verità oggettive. Si è arrivati al punto di affermare che la scienza è la “religione della verità” e che «all’assolutismo politico­teologico, impantanato nelle sabbie mobili della rivelazione e della fede, va contrapposto non il relativismo filosofico ma l’assolutismo matematico e scientifico, fondato sulle rocce della dimostrazione e della sperimentazione» (Odifreddi). Dall’altro lato, invece, si condanna l’aspirazione religiosa alla verità come espressione di oscurantismo, in quanto l’idea stessa di “verità oggettiva” sarebbe assurda e improponibile. Dato che le opinioni circa i fatti reali sono necessariamente molteplici e poiché non esisterebbe alcun modo di decidere definitivamente tra di esse, se ne deduce che l’essenza della scienza è il relativismo, ovvero l’acquisizione di asserti provvisori e tutt’al più correggibili, ma che spesso debbono essere radicalmente abbandonati per altri asserti. Anzi, la scienza sarebbe “la” forma di conoscenza razionale, laica e antidogmatica proprio perché, per sua natura, è relativista. In tal senso essa si contrappone inevitabilmente al dogmatismo religioso.
Questa posizione – che è sostenuta da una platea molto più larga della precedente – è difesa in Italia da persone come Giulio Giorello ed Enrico Bellone; anche se quest’ultimo, fino a pochi anni fa, era fautore acceso della linea precedente e aspro critico della microsociologia della scienza, che è il massimo baluardo della posizione relativista (valga per tutti citare David Bloor). La situazione è curiosa. Il contrasto tra i due punti di vista non potrebbe essere più evidente e, come mostra la prima citazione, i fautori della scienza come “religione della verità” (fautori del più rigido oggettivismo) rigettano il relativismo. I secondi articolano invece in modo diversificato la loro concezione relativista: nei casi più “moderati” sostengono che la scienza può proporre soltanto asserti in termini di probabilità (Giorello), nei casi più estremi adottano un modello naturalistico (biologico) dello sviluppo culturale, per cui anche le teorie scientifiche sono prodotto di strutture biologiche transeunti, il che pone il problema di come dare qualche carattere di persistenza e adattabilità a una cultura soggetta alle mutazioni ambientali, il quale «non è detto che abbia soluzione» (Bellone). È evidente che quest’ultima posizione estrema ricade sotto la vecchia critica di Merton al «caratteristico circolo vizioso» del relativismo radicale «nel quale le proposizioni stesse che asseriscono questo relativismo sono ipso facto invalide» e si colloca agli antipodi del classico oggettivismo scientista che attribuisce alla scienza un ruolo di acquisizione di verità fondate sulla roccia. Ma anche le posizioni più moderate sono in piena contraddizione con tale oggettivismo, come è reso evidente dai loro riferimenti teorici (per esempio, le posizioni del probabilismo soggettivista di Bruno de Finetti). Insomma, siamo di fronte a un panorama talmente variegato e contraddittorio che ci si chiede che cosa vi sia di comune in posizioni del genere. Eppure, le contraddizioni che le dividono – in modo talora insolubile – non emergono mai, anzi vengono tenute accuratamente nascoste in nome di un comune e supremo obbiettivo: combattere il fanatismo e la superstizione delle religioni, la loro intrusione nella sfera politica, in nome della difesa della laicità minacciata. Non sembra che si possa dare un esempio più chiaro del carattere strumentale e “di bandiera” con cui viene messa assieme un’accozzaglia di posizioni in contrasto tra di loro, per scopi di mera battaglia politico-culturale – qualcosa che fa pensare a certi schieramenti politici costruiti per puro scopo di potere e di contrasto del “nemico” – e di come, per tale via, anche il dibattito culturale venga degradato a livelli infimi.
Accenniamo ora ad alcune delle falsificazioni storiche con cui si tenta di sostenere questa battaglia culturale, e che vengono proposte a qualsiasi prezzo, anche a quello di ridurre la storia della scienza a una parodia. La difficoltà più elementare di fronte a cui si trovano i sostenitori della tesi del contrasto irriducibile tra scienza e religione è di spiegare come mai tutti i fondatori della scienza moderna fossero religiosi (anzi dei “teologi laici”, per dirla con Amos Funkenstein). Le risposte sono variegate: a) non si poteva non essere religiosi, a quei tempi; b) si trattava di forme di superstizione che rappresentavano soltanto incrostazioni residue attorno all’emergere di un nuovo spirito razionale; c) l’intolleranza delle religioni costringeva a una religiosità di facciata cui non corrispondeva alcuna convinzione reale, insomma a una sorta di marranismo generalizzato. Le opere teologiche di Newton vengono liquidate come espressione di rimbecillimento senile del grande scienziato (sebbene siano opere per lo più giovanili o del periodo maturo). L’opera filosofica di Cartesio viene casomai citata come argomento per “spiegare” la debolezza delle sue spiegazioni fisiche. Viene inoltre avanzata un’altra spiegazione più sottile che rappresenta la più grossolana falsificazione corrente. Si sostiene che il Dio dei protagonisti della rivoluzione scientifica era ormai divenuto un Dio impersonale – il che è grossolanamente falso, per esempio nel caso di Newton – anzi un Dio coincidente con la natura, secondo la formula spinoziana “Deus sive Natura”, perciò la residua religiosità di quei protagonisti sarebbe soltanto una forma di panteismo; e il panteismo – altro passaggio cruciale in questa ricostruzione di comodo – non è altro che ateismo mascherato.
È facile trovare in ogni angolo le tracce di questa vulgata: si pensi, ad esempio, al libro-dibattito tra il neuroscienziato Jean-Pierre Changeux e il filosofo Paul Ricoeur. I cardini di questa ricostruzione sono: il pensiero di Spinoza è la rappresentazione emblematica del metodo scientifico ed esprime la posizione più diffusa tra gli scienziati del Seicento e primo Settecento (il che è a dir poco discutibile); questo pensiero è ateo e materialista (invano Ricoeur tenta di confutare quest’affermazione, chiedendo che Spinoza venga letto per intero); pertanto, la scienza per sua essenza è atea e materialista.
In linea generale, si tende a soffocare l’interesse per le analisi – che pure avevano conosciuto significativi sviluppi negli ultimi decenni del secolo scorso – volte a ricostruire il legame profondo ed essenziale tra i concetti fondanti della scienza moderna – in particolare quelli di spazio e di tempo – e le “teologie laiche” dei grandi protagonisti della rivoluzione scientifica.
«Avvenire» del 14 ottobre 2007

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