22 gennaio 2008

All'Angelus per non diventare clericali

Sono due le ragioni principali per cui i laici dovrebbero essere presenti in massa domani in piazza San Pietro all’Angelus di Benedetto XVI. Una è culturale e si riferisce a un fatto da auspicare, l’altra è politica e riguarda un fenomeno da temere
di Marcello Pera
La ragione culturale è: i laici devono distinguersi dai laicisti. Nel vocabolario corrente, laico è chi non crede, laicista è colui che crede che chi crede non abbia alcuna ragione per credere. Non è uno scioglilingua. Il laico non appoggia la propria concezione del mondo su una fede rivelata; il laicista ritiene che qualunque fede rivelata non abbia senso, se non banalmente privato, come un tic o un vizietto. L’uno non crede, o non riesce a credere, ma riconosce che la fede è una dimensione dell’esperienza umana che svolge una funzione propria, ad esempio il conferimento di senso alla vita, l’attribuzione all’uomo di un ruolo nel mondo, l’interpretazione del male.
L’altro, il laicista, nega questa dimensione: la fede per lui è un'illusione o un fraintendimento o uno scacco alla ragione. Per sostenere la propria posizione, il laicista usa un’arma che ritiene micidiale, quella delle prove. «Che prove hai del tuo Dio?», chiede. Lo hai forse visto? Ci hai parlato? Un amico fidato lo ha incontrato? Ne hai dedotto l’esistenza da una teoria accettata? Ma basta rifletterci per capire che questa non è un’arma, bensì un boomerang. «Che prove hai dell’amore per tua moglie?». Lo ripeti a te stesso? Lei ti risponde? Lo confermano tutti? Un’esperienza quotidiana come questa fa capire che non tutte le «prove» si riducono a osservazioni, misurazioni, calcoli, ragionamenti. Nella vita degli uomini ci sono l’emozione, il sentimento, la passione, il senso interno, l’esaltazione, lo sgomento, la certezza morale. Sono prove anch’esse. Se il laicista non le avverte, lo si può compatire, ma se non le avverte e le nega, allora c’è da misurarsi con lui e sconfiggerlo, perché provoca danni.
Il laicista infatti non è solo sordo e cieco. Negando diritto alla fede o deridendola come residuo mitologico, il laicista è supponente e tracotante: vuole imporre il suo punto di vista, vuole avere il monopolio della verità. Dice di seguire Galileo, ma di Galileo non capisce neppure la distinzione (e talvolta contrapposizione) fra verità di fede e verità di scienza. Per questo il laicista è antireligioso e soprattutto anticristiano.
La ragione politica per accorrere all’Angelus è che i laici devono distinguersi dai clericali. Perché il laicismo, per inevitabile contrappasso, genera il clericalismo.
C’è oggi in Italia e in Europa una domanda sempre più diffusa di identità. La paura dell’Islam, colpevolmente nascosta, e lo smarrimento di fronte alle pratiche bioetiche, deplorevolmente trascurato, la alimentano. Chi siamo noi? In che cosa crediamo? Quali diritti abbiamo e riconosciamo? Anche quello di ospitare gli intolleranti? Anche quello di praticare l’aborto eugenetico? Anche quello di nascondere e violare i valori della nostra tradizione? A questo bisogno di identità si lega la rinascita del fenomeno religioso: è la richiesta, dapprima smarrita poi confusa infine esplicita, di fondamenti, di basi solide, insomma di fede.
Per merito suo e per bisogno altrui, Benedetto XVI è interprete illuminato di questa nuova domanda di religiosità e di identità. La gente lo sente, e accorre attorno a lui. La politica, invece, sente poco o nulla. Non ha capito per tempo la nuova domanda e non riesce a farsene interprete con le categorie sue proprie: una visione, una strategia, una leadership che non parli il linguaggio inerziale di un tempo: «il trono separato dall’altare», «libera Chiesa in libero Stato», e altre formule ieri utili e oggi vuote.
Qualcuno, per la verità, fuori d’Italia, s’è svegliato. Tony Blair si è convertito al cattolicesimo, Sarkozy richiama le fonti della nostra civiltà cristiana, in Laterano come in Arabia Saudita. In Italia, invece, no, la politica tace. Con il rischio che, così come la gente, per avere risposta alla propria domanda, è costretta a saltare la politica e a rivolgersi direttamente agli interpreti della fede, anche i partiti politici facciano altrettanto, e si lascino solo guidare, trascinare, ordinare dalla Chiesa. Così il laicismo può produrre il clericalismo, e un leader politico sordastro può diventare un chierichetto furbastro, un «ateo devoto» preso alla lettera, non nello spirito sano di chi ha coniato l’ossimoro.
I laici che hanno buona memoria e buona fede non possono volere questo esito. Siccome, fra tanti laicisti, colui che ha dato una vera lezione di laicità è proprio Benedetto XVI, i laici hanno una ragione in più per mostrargli un segno di gratitudine. Con una presenza pensata ai fini culturali e politici, non esibita a scopi elettorali e cinici.
«Avvenire» del 19 gennaio 2008

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