30 gennaio 2008

Quell’idea malata di laicità

Giornata nera per l’Italia
di Francesco D’Agostino
Una giornata «nera», quella in cui Benedetto XVI ha declinato l’invito fattogli dalla Sapienza. Nera per quegli studenti, contestatori attardati, che hanno creduto con le loro provocazioni di contribuire alla crescita politica e culturale del loro Ateneo. Nera per quei docenti che avevano protestato contro l’invito fatto al pontefice dal loro rettore e che non solo non sono riusciti a dare una sia pur minima adeguata motivazione alla loro insofferenza ideologica, ma che al contrario hanno dato prova di scarsa informazione e della incredibile povertà del loro orizzonte epistemologico. Nera per la Sapienza, la maggiore Università del nostro paese e la più nota all’estero: l’immagine di intolleranza che ha dato di sé non può che comprometterne ulteriormente il prestigio, già da tempo vistosamente deteriorato. Nera per tutto il nostro Paese, che continua ad offrire al mondo un’immagine negativa di sé, aggiungendo alle sue tante pecche quella dell’incapacità di porsi in libero ascolto di una delle poche voci, come quella del Papa, capaci oggi di creare cultura (perché è proprietà della cultura vera e viva attivare dibattiti, polemiche, approfondimenti, confronti di intelligenze, come appunto sistematicamente fanno le prese di posizione di Benedetto XVI).Ma soprattutto una giornata nera per la laicità, e per la laicità italiana in particolare, che ha rivelato all’improvviso (e per molti inaspettatamente) tutta la sua debolezza intrinseca, tutta la sua fragilità. Ezio Mauro, direttore di 'Repubblica' ha usato un’espressione ancora più forte: l’idea (di laicità), nel nome della quale si è riusciti a ostacolare l’ingresso del Papa alla Sapienza, sarebbe un’'idea malata'. Se è vero (come dubitarne?), questo è qualcosa che ci deve accomunare nella costernazione, credenti e non credenti: perché la laicità (lo ripetiamo da sempre!) è un valore umano e cristiano fondamentale, che deve stare a cuore in pari misura a tutti. Laicità infatti è percepire e rispettare fino in fondo il più grande dono che Dio abbia fatto all’uomo: quello di poter giudicare le cose 'terrene' con la propria testa, affidandosi al buon uso della ragione, operando per il bene umano oggettivo, che non è un bene esclusivo dei credenti, ma un bene che va difeso e promosso da tutti e per tutti. Quando la laicità 'si ammala' tutti inevitabilmente ne soffrono.
È possibile che la laicità italiana 'guarisca'? Deve essere possibile, perché è necessario, necessario, per il bene di tutti. Ma non si tratterà di una guarigione né facile, né rapida. Per risanare l’idea di laicità si chiede ai 'laici' un grosso, anche se non difficile, sforzo di onestà intellettuale: si tratta semplicemente di riconoscere che se esiste una laicità 'malata', è perché si può - e, ripeto, si deve - ipotizzare l’esistenza di una laicità 'sana'.
L’espressione 'sana laicità' appartiene da tempo al linguaggio della Chiesa ed è stata a volte oggetto di incomprensione, se non di irrisione: ma mai come oggi essa appare in tutta la sua immediata evidenza. È 'sana' la laicità, che resta fedele ai propri fondamenti: il buon uso della ragione, il dialogo, la rinuncia ad ogni sopraffazione e intimidazione intellettuale, il rispetto per i diritti umani fondamentali e in particolare per la libertà religiosa. È 'sana' quella laicità che, se da una parte esige che le cose terrene siano gestite senza pregiudiziali confessionali, dall’altra riconosce però senza timidezze e senza ambiguità l’immenso contributo della religione (e in particolare, nel nostro Paese, del cristianesimo) alla civiltà e al bene umano. Senza questi riferimenti vitali la laicità 'si ammala' e si trasforma in intolleranza, pregiudizio, dogmatismo e, all’estremo, in violenza.
È troppo chiedere a quei laici (per fortuna non pochi!), che stigmatizzando la vicenda della Sapienza, hanno salvato la dignità della loro visione del mondo, di 'fare ancora uno sforzo' per sciogliere definitivamente quanto di patologico si annida nel laicismo italiano?
«Avvenire» del 17 gennaio 2008

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