07 febbraio 2008

L’anima euclidea della modernità

Le opere complete curate da Acerbi
di Armando Torno
Negli «Elementi» una concezione della geometria che non si piega a istanze pratiche
Chi fu Euclide? Difficile rispondere in modo soddisfacente. Di lui ci restano alcune opere, in particolare gli Elementi, la spina dorsale del pensiero matematico, ma non conosciamo le date di nascita e morte né chi frequentasse. La fioritura del suo sapere (fissata al 300 a.C. circa) si ricava da congetture, il carattere è consegnato ad aneddoti, le sue tendenze - Proclo lo colloca tra i più giovani discepoli di Platone - riflettono antichi bisogni di appropriazione. Eppure senza Euclide noi saremmo diversi, e altro sarebbe il nostro modo di guardare e analizzare la realtà. Se il mondo greco indicò all’uomo la via per comprendere numeri e figure oltre l’aspetto pratico - con la scuola di Pitagora, con quella di Elea - con Platone la matematica diventò definitivamente filosofia ed ebbe il compito di elevare la mente oltre le banalità dell’esperienza per vivificarla nella contemplazione del mondo delle idee. Euclide negli Elementi, ovvero nella celebre opera che fu seconda soltanto alla Bibbia per diffusione nei due millenni abbondanti che ci separano da lui, non si rivolge mai alla pratica ed invano si cercherebbe nei tredici libri che la compongono una regola di misura o di calcolo. Egli parla soltanto dei presupposti teorici. Per ricordare un caso, dimostra il teorema sulla proporzionalità dei cerchi ai quadrati dei diametri, ma non accenna ad una determinazione del relativo rapporto costante, vale a dire di quel pi greco che già gli scolari conoscono come 3,14. Euclide, insomma, non fornì degli esercizi ma offrì i presupposti a un metodo: forse per questo le sue opere furono bramate, chiosate, confutate, difese, tradotte, sempre studiate. C’è da farsi tremare i polsi nell’aprire il libro della storia delle sue influenze. Limitandoci a dei semplici cenni, diremo che Imre Toth in Aristotele e i fondamenti assiomatici della geometria (Vita & Pensiero) ricorda che l’inizio dei sistemi non euclidei moderni comincia con alcuni passi del sommo filosofo greco; aggiungiamo che presso i Romani trovò un ambiente ostile, giacché la geometria teorica era vista quasi esclusivamente in funzione di quella pratica. Ma Boezio, all’inizio del VI secolo - oltre cent’anni dopo il primo Concilio di Toledo, che scagliò l’anatema contro astrologia e matematica - sentì la necessità di tradurre gli Elementi. Troviamo Euclide nel mondo bizantino, soprattutto nell’islamico, anzi il primo fece da ponte per il secondo; la versione araba di Thabit ben Zurra lo farà ritornare in Occidente perché sarà la base di quella latina di Gherardo da Cremona (1114-1187), subito seguito da altri: a cominciare da Giovanni Campano da Novara (Ruggero Bacone lo cita con rispetto), cappellano di Urbano IV. Sarà Luca Pacioli a spiegare all’amico Leonardo da Vinci molte cose di Euclide e sarà ancora il magnifico greco a guidare la rinascita del XVII secolo: impensabile buona parte delle opere scientifiche di Cartesio senza la sua presenza, così come l’Etica di Spinoza, che avrà bisogno del suo metodo. In quel tempo si arrivò a parlare di un «Euclide spirituale», ma è storia troppo vasta per queste righe. La geometria si fece strada ribellandosi a Euclide, a partire dal famoso quinto postulato. Ma egli è ancora nei libri di scuola del mondo contemporaneo: siamo euclidei nell’anima, anche se cerchiamo una nuova assiomatica e le matematiche inseguono altri orizzonti. Tutto questo discorso lo poniamo in margine a un lavoro commovente, da poco uscito nella collana «Il pensiero occidentale» di Bompiani, diretta da Giovanni Reale. È un’opera che mancava: la traduzione italiana, con testo a fronte, di Tutte le opere di Euclide (pp. 2.734, 41). La cura si deve a Fabio Acerbi. C’è un’introduzione di 776 pagine che è un saggio tra i più esaurienti sul matematico greco e sulle sue opere. Vi trovate, oltre gli Elementi (persino i libri XIV e XV non autentici), i Data, l’Ottica e la Catottrica, i Fenomeni, gli scritti musicali o Sectio canonis. Fabio Acerbi merita più di un elogio e in questo lavoro c’è la sua vita e qualche vendetta: lo si capisce leggendo locuzioni quali «imperversano i gringos», forse rivolta - per usare una battuta di Anacleto Verrecchia - ai blocchi e ai commerci culturali organizzati dal «bestiame accademico».
«Corriere della Sera» del 18 gennaio 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ho conosciuto Fabio Acerbi durante gli anni del liceo: fratello di un mio fraterno compagno di classe, è sempre stato un geniaccio intelligentissimo ed irriverente. Sicuramente avrà messo le sue qualità nella cura di quest'opera, anche per rendere Euclide più vicina alla nostra (in)sensibilità di persone del ventunesimo secolo. Sasso.