06 marzo 2008

Ma l’unica fede dell’illuminismo è la ragione

Lo storico interviene nella discussione aperta dal filosofo della scienza sulla sintesi tra Voltaire e Pascal
di Giuseppe Galasso
Voltaire e Pascal a braccetto? Per me l’auspicio di Giorello è bellissimo. Da un lato, il brio di un’intelligenza vivacissima e spiritosissima, dalle larghe vedute. Dall’altro, un’intelligenza profonda e trepidante nel considerare che c’è la géometrie, ma anche la finesse. Divento, tuttavia, un po’più perplesso all’idea di portare nell’ottica «illuministica» un intellettuale di suggestiva taglia critica e filosofica, ma dalla inconfondibile fisionomia di teologo inteso ad altri valori, qual è il papa Ratzinger. E più perplesso ancora divento a sentire di un Gesù «illuminista», perché sanamente ostile al formalismo dei farisei (e anche ai mercanti del tempio). Confesso, poi, che l’idea dello sradicamento di ogni pianta non piantata dal Padre celeste mi preoccupa parecchio. Non si sa mai. I pretendenti alla paternità celeste sono, come si sa, innumerevoli sempre e ovunque. Preferisco di gran lunga il Gesù, dolce e buon pastore, di tanta parte del Vangelo e di tanta arte europea. In effetti, che cosa spinge l’illuminismo nella sua più autentica motivazione di fondo? Certo, la tolleranza è un suo valore primario, e Giorello lo mette bene in evidenza. Tutti ricordano quel che si insegna (o si insegnava) a scuola come principio illuministico: «non condivido le vostre idee, ma pagherei con la mia vita la vostra possibilità di esprimerle». Tolleranza? Direi, piuttosto, liberalismo, e tra tolleranza e libertà la distanza è, come si sa, parecchia. E poi: fin dove essere tolleranti? Domanda di sempre, anche senza pensare agli Hitler o ai Pol Pot. Che c’entra?, mi direte. C’entra, c’entra. C’è il terremoto di Lisbona, un disastro terribile e assurdo, dinanzi al quale non c’è che da prenderne atto. Ma, se lo potessimo impedire, non lo impediremmo? L’illuminista dice subito di sì. Il suo sogno, ma anche la sua certezza, è che tutti i disastri della natura, della salute, della società, dell’ordine politico e morale, della storia possano essere curati mediante l’esercizio della ragione. Perché è in questo principio primo e supremo - la fede nella ragione e nel suo potere, rischiaratore e risolutivo ai fini della felicità umana - l’essenza dell’Illuminismo, il suo carattere più «originale». E la sua grandezza sta nell’aver fissato il punto che la ragione non è un seme che fruttifichi da sé nelle praterie della storia e dell’esperienza umana. Occorre coltivarla, esercitarla, la ragione. Occorre deporre ogni timore o condizionamento limitativo che impedisca di sentirne e capirne la voce. Kant, che meglio di ogni altro ne capì ed espresse lo spirito, lo disse in pochissime, stupende parole: l’illuminismo è il coraggio di sapere ciò che la ragione ci dice; è l’uscita dalla minore età in cui vi sono autorità che pensano per noi e ci dettano verità e norme di cui non siamo autori. L’età dell’illuminismo è l’età dell’umanità adulta, maggiorenne, che ragiona e opera in piena autonomia e responsabilità alla luce della ragione. Dimenticare l’illuminismo significa dimenticare non solo la ragione, ma anche quell’autonomia e quella responsabilità. Il mondo contemporaneo lo ha dimenticato, e lo dimentica, spesso, e ne ha pagato, e ne paga, le giuste pene. Certo, l’illuminismo non basta. E aveva poi le sue distrazioni. Con le armate della Grande Rivoluzione si pretese di portarne i principi là dove li si aspettava con passione e là dove se ne voleva assolutamente fare a meno. Con la crisi dell’illuminismo e del suo mondo, e con la formidabile rivoluzione culturale dell’età idealistica e romantica, la risposta ai problemi che ne nascevano fu vista, però, nella storia, l’altro grande valore che affiancò quello illuministico della ragione. Non ci si rimise, insomma, ai valori pre-illuministici, ma a una più alta forma di ragione. Che anch’essa ha avuto e ha i suoi fasti e nefasti, ma, come l’illuminismo, rimane irrinunciabile nel patrimonio morale e culturale dell’umanità. Al di fuori vi sono altre cose. C’è, ad esempio, la religione, che accetta francamente il mistero come un ordine del cosmo e della vicenda universale. È una scelta legittima e più che umana e rispettabile. Ma al mistero - come ha ben osservato Givone, che questa scelta sostiene - possono rispondere solo l’arte o la fede. O, come diceva Pascal, l’esprit de finesse. La ragione lavora altrove: è un’altra cosa.
Lunedì, sul «Corriere della Sera», Giulio Giorello ha proposto una riflessione sui contenuti di un nuovo illuminismo, capace di elaborare una sintesi tra il razionalismo di Voltaire e il cattolicesimo di Pascal. Ieri «Avvenire» ha dedicato una pagina al dibattito, con le opinioni di Sergio Givone («Ottima idea, l’illuminismo è anche consapevolezza dei limiti della ragione»), Dario Antiseri («Ma attenti, Voltaire è solo una parte dei Lumi»), Francesco Botturi («Ora è necessaria un’apertura religiosa, nella tradizione di Cartesio e, appunto, Pascal»).
«Corriere della Sera» del 5 marzo 2008

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