13 marzo 2008

«Non sono i giudici a fare le norme: rischio eugenetica»

di Maria Antonietta Calabrò
Adriano Pessina è il successore di monsignor Elio Sgreccia alla guida del Centro di Bioetica dell’Università cattolica ed è stato recentemente nominato da Benedetto XVI membro ordinario della Pontificia accademia per la vita. Giusta o sbagliata la decisione del Tar del Lazio? «Permettere la diagnosi preimpianto stravolge il significato della legge 40. Ci sono motivi etici e tecnici per non fare l’analisi genetica prima dell’impianto in utero. Quelli tecnici riguardano il fatto che l’analisi compiuta in quel primissimo stadio di sviluppo, pregiudica la salute dell’embrione. Quelli etici sono stati ben illustrati dal filosofo Habermas: non si può generare esseri umani "sotto condizione", solo a patto che siano più o meno sani. Sono esseri umani, non cose». Alcuni giudici hanno sostenuto che è irragionevole vietare la diagnosi preimpianto e poi permettere l’aborto... «Non si può banalizzare la diagnosi preimpianto ricorrendo ad una concezione eugenetica dell’aborto. Ciò contrasta con la legge 194, che permette l’interruzione di gravidanza solo quando ci siano gravi elementi di pericolo per la salute della madre. E contrasta, voglio aggiungere, anche con la crescita di una cultura democratica per cui c’è una sempre maggiore sensibilità per il valore della persona anche ammalata, anche disabile, anche down». Ormai però sono molte le sentenze che stanno «attaccando» la legge 40... «Eppure in Italia abbiamo un sistema di civil law, e non di common law: non è come nei Paesi anglosassoni che sono le sentenze a fare la legge. In Italia le scelte le fa il Parlamento: la legge 40 è recente, e ancor più recente è l’esito del referendum popolare che l’ha tenuta in vita».
«Corriere della sera» del 24 gennaio 2008

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