05 marzo 2008

Quali Lumi per il XXI secolo?

È davvero possibile un’«alleanza» tra Pascal e Voltaire, tra ragione e fede?
Di Edoardo Castagna
Filosofi a confronto sull’idea di Giulio Giorello
Improntata al buon senso, l’idea lanciata da Giulio Giorello piace, ai filosofi. L’«alleanza» tra Voltaire e Pascal, tra ragione e fede, proposta ieri sulle colonne del Corriere della Sera, è convincente, nella misura in cui – però – della ragione e della fede si dà una certa lettura, magari corretta ma purtroppo non per questo unanimemente condivisa. I Lumi settecenteschi vengono presentati da Giorello come tutti improntati alla moderazione, alla tolleranza, alla sottolineatura dei limiti della ragione. Il che, però, è soltanto una parte di quel complesso movimento, e «significa già una scelta», osserva Francesco Botturi: «All’interno della grande famiglia illuminista, Giorello ha deciso di privilegiare una parte: ma è solo una parte, perché non dobbiamo dimenticare che esiste anche un illuminismo ben diverso, aggressivamente razionalista. Il richiamo ai limiti dell’uomo è certamente importante, però non sufficiente: il senso del limite può anche tradursi in rassegnazione a una finitezza chiusa in se stessa. È necessario invece che ci sia un’apertura religiosa, che il senso del limite rinvii oltre se stesso; la mente umana non è capace soltanto di finitezza, ma anche, in qualche modo, di relazione con l’infinito. Questa è stata la grande tradizione religiosa del Seicento, quella di Cartesio e di Pascal ».
Proprio Pascal è l’ispirazione che Giorello vorrebbe vedere unita con quella di Voltaire, elevato a emblema del secolo dei Lumi. «Attenzione però – puntualizza Dario Antiseri –: Voltaire, che teorizza la tolleranza come corollario dell’umana fallibilità – tolleriamoci, diceva, perché siamo tutti soggetti all’errore – è solo una parte dell’illuminismo. Dobbiamo distinguere tra i Lumi di scuola scozzese, tesi a mostrare i limiti della ragione umana (pensiamo ad Hume) e quelli di scuola francese, in cui c’è una tale esaltazione della ragione umana, che porterà Hayek a definire il Settecento francese 'l’irragionevole età della ragione'. Invece Pascal, proprio perché un grande razionalista, ha visto i limiti della ragione umana ». Tanto che, da questo punto di vista, è possibile interpretarlo «come un pre-illuminista», come suggerisce
Sergio Givone, a sua volta favorevole alla proposta di Giorello: «Mi sembra un’ottima idea: di illuminismo c’è un gran bisogno, al giorno d’oggi. Viviamo in un’epoca fortemente irrazionalistica, si crede ai maghi e agli idoli, si adorano feticci… un deciso richiamo al valore della ragione non può che far bene. Soprattutto se non è un richiamo a senso unico. Spesso l’illuminismo esclude tutto ciò che non è ragione – la fede, per esempio. In questo caso, invece, no: richiede la fede, la vuole. L’illuminismo è anche e soprattutto consapevolezza dei limiti della ragione: ed ecco l’apertura verso Pascal, uomo di fede. È positivo tentare di tenerlo insieme a Voltaire: due autori, per rispondere a una doppia esigenza ».
«Sul piano etico – prosegue Antiseri – Pascal ci dice che l’uomo, con tutta la sua ragione, non può conoscere che cosa sia bene e che cosa male: questo lo coglie soltanto dal Vangelo. E, dal punto di vista teologico, pone il problema della scelta radicale della fede, contro il Dio dei filosofi e dei dotti. Se le prove metafisiche dell’esistenza di Dio fossero valide, si chiede, che fine farebbe la fede? Vol- taire era un deista; per Pascal, il vero Dio è Gesù Cristo, e senza Gesù Cristo non conosceremmo niente: né di Dio, né dell’uomo». Una sintesi, allora può essere tentata soltanto insistendo su Voltaire «come colui che guarda all’uomo come fallibile, né onnisciente né onnipotente, e che su questa consapevolezza ha basato la sua idea di tolleranza. Una ragione laica che riflette su se stessa e che vede i suoi limiti può realmente andare d’accordo con la concezione cristiana, che vede l’essere umano come creatura, non onnipotente».
Conferma Botturi: «Una certa esaltazione della ragione umana è, di per sé un’istanza perfino positiva, come ha ricordato anche il Papa in più di un luogo; il problema è che in genere la razionalità illuministica è identificata con la razionalità tecnicoscientifica. E così si perde il senso critico del limite».
Oggi i Lumi, quindi, hanno tutto da guadagnarci dallo sposalizio con la fede di Pascal. Ma c’è un problema: Pascal è netto nell’affermare che per lui Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, non il Dio dei filosofi e della ragione: «Ovvero – conclude Givone – non è il Dio dei filosofi che sono soltanto filosofi. 'La vera filosofia si fa beffe della filosofia', dice Pascal – restando filosofia, fermamente ancorata alla ragione ma consapevole dei limiti della ragione stessa». Tra Pascal e Voltaire, quindi, un’aria di parentela c’è: «Ma le difficoltà nascono dopo, quando l’illuminismo si è scontrato con il mondo attuale e ha prodotto i guasti che sappiamo. La ragione è diventata ragione strumentale, votata al dominio e al possesso. Persa la consapevolezza del proprio limite, non ha saputo – pascalianamente – farsi beffe di se stessa. Eppure, al di là della ragione c’è il mistero: non uno spazio vuoto, elemento negativo, ma la sorgente di tutte le nostre domande più profonde, quelle alle quali magari non sappiamo dare risposta ma che non per questo cessano di essere vere. La differenza passa qui: c’è un illuminismo che considera le domande che sgorgano dal mistero come irrilevanti, come domande che non hanno senso; e c’è un illuminismo, invece, che sta di fronte al mistero e e alle sue domande: se la ragione non sa rispondere, non ne fa discendere che quelle domande siano prive di senso. Ci sono altri luoghi dello spirito dove trovano risposte: nella religione, per esempio, o nell’arte».

E Ratzinger disse: i meriti dei philosophes distrutti dai loro figli
Poche settimane prima della sua ascesa al Soglio, il cardinale Joseph Ratzinger ha tenuto, ricevendo a Subiaco il premio «San Benedetto », un’importante «lectio », nella quale parlò anche di illuminismo e neoilluminismo. Ratzinger ricordò che «l’illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana» e che, nel Settecento ebbe una funzione salutare «laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato». Nel contesto dell’Ancien Regime, anzi, «è stato merito dell’illuminismo aver riproposto i valori originari del cristianesimo», ovvero il suo essere «la religione del 'logos'», che «ha compreso se stessa fin dal principio come la religione secondo ragione», che «in quanto religione dei perseguitati, in quanto religione universale, al di là dei diversi Stati e popoli, ha negato allo Stato il diritto di considerare la religione come una parte dell’ordinamento statale ». Ma questo poté accadere solo perché «a quell’epoca le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte restavano ». E proprio questo segna il netto distacco tra i Lumi settecenteschi e l’odierno neoilluminismo. Ratzinger indicava un’«autolimitazione della ragione positiva, che è adeguata nell’ambito tecnico, ma che, laddove viene generalizzata, comporta invece una mutilazione dell’uomo. Ne consegue che l’uomo non ammetta più alcuna istanza morale al di fuori dei suoi calcoli e anche che il concetto di libertà, che potrebbe sembrare espandersi in modo illimitato, alla fine porta all’autodistruzione della libertà».
«Avvenire» del 4 marzo 2008

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