13 marzo 2008

Quando la storia assolve o condanna come un tribunale

Metodo Marquard e Melloni: la conoscenza diventa giudice
di Marco Ventura
«Tu ricorderai» è l’imperativo biblico. Ricorderai che ti ho liberato dagli egiziani, che ti ho aperto il Mar Rosso. Che io sono il tuo Dio. E Israele dimenticava, adorava nuovi idoli. E Dio puniva, pazientemente; ed ogni volta si ricostruiva il ricordo. È difficile ricordare; bisogna sapere, sapere molto se non tutto. Può far male sapere, ricordare; può dar dolore. Può lacerarmi dentro e può lacerare la mia famiglia, la mia città, il mio popolo. Con Mosè e mille altre volte Dio ha fatto la memoria e la storia, sciogliendovi dentro dolori e lacerazioni. Mille volte l’uomo ha osato dimenticare, raccontarsi un’altra storia, chieder conto. Se vuoi che creda alla tua storia, Dio, devi convincermi che sia giusta, devi convincermi che sei giusto. La modernità è un tempo in cui l’uomo si fa più esigente, sospettoso. Incalza Dio, formula quesiti e scandaglia risposte. Il Dio dalla barba bianca non è più un giudice al di sopra di ogni sospetto. Troppo male nella storia, per credergli ancora. O troppi Prometei. Non è più Dio che giudica l’uomo, è l’uomo che pretende di giudicare Dio. Leibniz, nel 1710, prende la cosa di petto: elabora una strenua difesa di Dio e lo giustifica con tutta la ragione che può. Chiama la propria difesa teodicea: Dio è buono perché ha fatto tutto ciò che poteva; la creazione è l’arte del meglio possibile. Leibniz assolve Dio, ma per farlo paga il prezzo estremo, assoggettare la giustificazione di Dio al tribunale dell’uomo. Nel processo sul male nel mondo l’uomo è l’accusatore e Dio l’imputato, l’imputato assoluto. Sforzo supremo, quello di Leibniz, ma inefficace. Ormai Dio è alla sbarra, i suoi giudici son sempre più audaci. Il catastrofico terremoto di Lisbona del 1755 suona come una confessione di colpevolezza divina. Stendhal è implacabile: «L’unica giustificazione di Dio è che non esiste». Se proprio vuol restare in qualche modo tra noi, Dio deve disfarsi della responsabilità della storia; deve cedere all’uomo lo scettro di creatore della storia. O Dio non c’è o è come se non ci fosse. La teodicea fallisce, la difesa di Dio nella storia alza le mani. Cosa viene dopo? Il filosofo tedesco Odo Marquard ha una risposta: anche se la gabbia del tribunale della storia si è svuotata di Dio, il bisogno di fare i conti col male, di giudicare e condannare, è intatto. Ci vuole però un nuovo imputato al posto di Dio. Quell’imputato è fatalmente l’uomo stesso che deve ormai giocare entrambi i ruoli, quello dell’accusatore e quello dell’accusato, quello del giudice e quello del condannato. Marquard chiama tutto ciò «tribunalizzazione della storia». Tolto di mezzo Dio, il giudizio nella storia è tutto dell’uomo sull’uomo. Cambia per sempre il modo di rispondere al biblico «ti ricorderai». Cambia il modo di fare storia. L’inutile difesa di Dio nella teodicea e la tribunalizzazione della storia marcano il nostro ricordo, la nostra memoria, il nostro sapere. Su questo dialogano il filosofo Odo Marquard e lo storico Alberto Melloni (La storia che giudica, la storia che assolve, Laterza). La tribunalizzazione della storia è il modo in cui ci siamo abituati a pensarci nel tempo. Uomini che giudicano uomini. Come dopo la seconda guerra mondiale, quando i grandi processi del Novecento hanno messo in scena il giudizio della storia, quando i media hanno riversato le masse ora sui banchi della giuria ora nella gabbia degli imputati. A Norimberga i vincitori hanno processato i vinti; a Gerusalemme nel 1962 le vittime hanno giudicato, e giustiziato, il boia Eichmann; a Francoforte pochi anni dopo i tedeschi hanno fatto i conti con se stessi. Più recentemente in Francia (i casi Papon e Touvier) e ancora in Germania (il caso Nolte), si è fatta storia processando, in tribunale o sulla stampa. Ma anche i non processi sono stati giudizi del tribunale della storia: i processi non celebrati per i silenzi delle chiese, i giudizi non pronunciati per i massacri comunisti. L’uomo è insieme imputato e giudice. Il doppio ruolo rimescola il giudizio della storia e quello del tribunale; con Melloni, «l’insonnia dello studioso e la veglia del poliziotto». Questo è in gioco quando entrano in tribunale le immagini dei campi di sterminio; quando si manda in Tv la cronaca del processo; quando si trasforma lo storico in perito di parte. La tribunalizzazione della storia instaura, ancora Melloni, «un legame pericolosamente solido fra giudizio storico e giudizio penale». Allora i tribunali fanno tutta la storia, il diritto dimentica i propri limiti. Lo storico prova a sottrarsi alla confusione; come scrive Melloni, a «disilludere chi chiede sentenza», a lavorare «come nelle vecchie botteghe, a pian terreno, con la porta in piazza». L’uomo ritrova la propria storia soltanto scansando scorciatoie e moralismi; prendendosi sulle spalle tutta la fatica e tutto il dolore di cui Dio non si fa più carico.

Odo Marquard è professore emerito all’Università di Giessen (Germania). Alberto Melloni insegna Storia del cristianesimo nell’ateneo di Modena-Reggio Emilia L’opera La loro analisi muove dalla teodicea di Leibniz
O. MARQUARD A. MELLONI, La storia che giudica, la storia che assolve, Laterza, pp. 162, € 16
«Corriere della sera» del 23 gennaio 2008

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