27 aprile 2009

Il corpo come luogo pubblico

di Stefano Rodotà
Con il passare dei giorni si fa più netta la natura del conflitto intorno al tema del testamento biologico, che nella prossima settimana verrà discusso al Senato. Nel fuoco delle polemiche che hanno accompagnato le ultime giornate della vita di Eluana Englaro sembrava che una legge dovesse avere una finalità precisa, quella di risolvere le due questioni che avevano appassionato e diviso l' opinione pubblica: le modalità del testamento biologico, per eliminare ogni dubbio sull' effettiva volontà della persona; e l' ammissibilità della rinuncia all' idratazione e alla alimentazione forzata. Ma il disegno di legge della maggioranza ha reso manifesta un' intenzione diversa, più generale, e tanto più inquietante perché incide profondamente sui diritti fondamentali della persona, e così altera lo stesso quadro costituzionale. Ciò di cui si discute è il rapporto della persona con il suo corpo, dunque l' area più intima e segreta dell' esistenza, alla quale la politica e la legge dovrebbero accostarsi con rispetto e prudenza, consapevoli che vi sono aspetti della vita che la Costituzione ha messo al riparo da ogni intervento esterno, che ha voluto intoccabili. Negli ultimi anni, invece, in Italia si è venuto consolidando un orientamento diverso, che descriverei ricorrendo al titolo di un libro di Barbara Duden: Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull' abuso del concetto di vita. Del corpo della donna il legislatore si è pesantemente impadronito con l' autoritaria e proibizionista legge sulla procreazione assistita, negando la libertà femminile e creando davvero quel far west legislativo che si diceva di voler combattere. Oggi, infatti, migliaia di donne emigrano ogni anno in altri paesi per sfuggire agli assurdi divieti di quella legge, obbligate a pesanti costi finanziari e umani, mettendo pure a rischio la salute loro e dei figli che nasceranno. Ora si vuole far diventare "pubblico" il corpo di tutti noi. Il rifiuto di cure, diritto ovunque riconosciuto e caposaldo della stessa soggettività morale, viene sostanzialmente negato dalla proposta della maggioranza. La sorte del corpo nel tempo del morire è sottratta alla libera decisione dell' interessato, viene affidata ad un medico investito del ruolo di funzionario di uno Stato etico che, appunto, ha proceduto alla "pubblicizzazione" del corpo. Il testamento biologico diviene un simulacro vuoto, una formula che contiene il suo opposto. Si obbligano le persone ad un infinito iter burocratico, con obblighi continui di recarsi dal notaio, di chiedere firme del medico, di effettuare rinnovi periodici. Tutto questo per approdare al nulla. Il delirio formalistico non produce una volontà da rispettare, ma un "orientamento" che il medico può ignorare del tutto. E non solo viene esclusa la possibilità di rinunciare a trattamenti come l' alimentazione e l' idratazione forzata. Si finisce con il sottrarre alla libera scelta delle persone materie nelle quali il rifiuto è stato finora riconosciuto, dalla trasfusione di sangue alla dialisi, all' amputazione di un arto, al ricorso a tecniche meccaniche e farmacologiche. Non è di una vicenda specifica, sia pur rilevantissima, di cui dobbiamo preoccuparci. Siamo di fronte ad una ideologia riduzionista del senso e della portata dei diritti fondamentali, che vuole impadronirsi dell' intera vita delle persone. Del nascere si è già impadronita, ora vuole farlo per il morire, e pone pesanti ipoteche sul vivere, come accade quando si rifiuta ogni riconoscimento alle unioni di fatto. Mettendo così le mani sulla vita delle persone, si mettono pure le mani sulla prima parte della Costituzione che, a parole, si continua a proclamare intoccabile. Si manipolano principi fondativi del nostro sistema, che la Corte costituzionale ha dichiarato immodificabili. E tutto questo avviene mentre tutte le rilevazioni ci dicono che la maggioranza dei cittadini interpellati ritiene che proprio le decisioni sulla vita debbano rimanere patrimonio dell' interessato e della sua famiglia. Si apre così non solo una questione di rispetto della Costituzione, ma di rappresentanza politica. Molti, sempre di più e più spesso, si riuniscono, scendono in piazza. In quali luoghi della politica ufficiale arriverà questa voce?
Repubblica del 23 febbraio 2009

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