01 maggio 2009

Il latino per l’Europa di domani

Lingua morta? Nient’affatto: l’idioma dei Cesari è una grande risorsa per il futuro, e studiarlo è ancora necessario. E qui gli italiani sono sempre i primi della classe, con quattro studenti su dieci alle prese con le versioni di Cicerone Migliora l’abilità linguistica, allena la mente, abitua alla concisione, apre le porte dell’arte e della storia.
Di Mario Maritano *
Ma oggi si aggiunge la necessità di padroneggiare la propria cultura e i propri valori: avere dimestichezza con l’«altro» classico è una marcia in più nell’età della globalizzazione
Diceva un personaggio di Anatole France: «Per digerire il sapere bisogna averlo mangiato con appetito». Ci chiediamo: c’è questo appetito per il latino in Italia? Un’inchiesta fatta dall’associazione TreElle evidenzia che l’Italia è il Paese che più al mondo studia latino: sarebbero quattro studenti su dieci. Da un’indagine fatta nel 2005, risultava che circa due milioni e mezzo di studenti italiani, oltre un milione, cioè circa il 41% era impegnato nello studio del latino (in Francia il 19%, in Germania il 5-8%, in Gran Bretagna l’1-2/%, negli Sta­ti Uniti l’1,3%). Anche un altro dato può essere significativo, riguardo all’insegnamento delle lingue: i pro­fessori universitari che insegnano latino sono circa 280, di poco infe­riori a quelli che insegnano lingue moderne – circa 300 per ogni lingua moderna, come inglese francese, spagnolo.
Pur avendo questo primato, il vero problema si sposta dalla quantità alla qualità: come viene insegnato e appreso il latino? E soprattutto che senso ha gettare un seme di latinità nel mondo? Mi paiono necessarie due risposte: una rivolta al passato, l’altra al futuro. Il latino ha caratterizzato più di due millenni di storia dell’Occidente. La lingua non è soltanto uno strumento di comunicazione fra persone, né tanto meno un insieme di parole, ma espressione di un patrimonio di conoscenze, di cultura di modi di pensare, di frasi che costituiscono l’identità culturale di un popolo. Nel passato, per la formazione dell’Europa, il latino è stato veicolo di sapere e, divenuto lingua universale dell’Occidente, ha consentito all’Europa la consapevolezza di appartenere ad una stessa tradizione. Per vari secoli il latino è stato la lingua usata dalle persone dotte, dagli studiosi e dagli scienziati, è stata la lingua 'ufficiale' della Chiesa cattolica in Occidente, garantendo così, anche linguisticamente, la continuità con le radici del cristianesimo. O ggi le argomentazioni por­tate a favore del latino (ma alcune risalgano alla fine del XVIII secolo) riguardano un’efficacia di ordine intellettuale e morale che lo studio del latino avrebbe realizzato: 1) Apprendere il latino favorisce l’apprendimento delle lingue da essa derivate, fornisce l’etimologia di molte lingue neolatine o di elementi che sono poi entrati in altre lingue, è facilitata la comprensione del vocabolario e la padronanza grammaticale. Ci rendiamo conto che l’antichità classica è l’intelaiatura portante della nostra tradizione storica, linguistica intellettuale e scientifica dell’Europa. Si tenga presente che l’inglese è secondo solo all’italiano nell’essere 'la più latina' delle lingue d’Europa: solo il 10% è filiazione diretta del vocabolario di matrice germanica, il resto è frutto di una progressiva assunzione di vocaboli dal latino classico, medievale moderno. 2) L’apprendimento del latino era considerato utile e benefico per lo sviluppo delle facoltà intellettuali, per la capacità logica, per la memoria, per l’analisi e la sintesi. Si pensava inoltre che questa 'ginnastica mentale' fosse utile anche per altre materie.
3) Il latino avrebbe portato inoltre a pensare con precisione ed esattezza, abituando alla brevità e concisione del pensiero da esprimere con termini appropriati: 'lottando', per così dire, col testo, lo studente si sarebbe fortificato per poi affrontare le difficoltà della vita. Come tutte le scienze, anche il latino contribuisce alla formazione di tutto l’uomo, perché ci insegnava già Montagne: «Una testa ben fatta, vale più di una testa piena». 4) Infine si riconosceva al latino un grande qualità nella formazione intellettuale, estetica, artistica, morale che dava allo studente, a contatto con i capolavori dell’antichità classica, con una civiltà che aveva dato origine all’Europa, trasmettendo grandi valori, come il rispetto della persona, le regole per la società civile. Il latino dunque è stata una fonte feconda per la nostra civiltà occidentale. Al latino si era affidato una funzione culturale, una sociale e una di tecnica formativa: tutte devono essere strettamente collegate.
Una radicale abolizione del latino ci porterebbe a perdere la memoria del nostro passato, perché tutta la tradizione italiana è stata fortemente impregnata di classicità e i nostri migliori e più grandi autori italiani si sono formati appunto sui classici: perderemmo quel 'filo rosso' che ci collega al nostro passato. Pier Paolo Pasolini spiazzò tutti con una difesa del latino originale ed imprevedibile: «Dobbiamo conoscere e amare il nostro passato, contro la ferocia speculativa di chi non ama nulla, non rispetta nulla, non conosce nulla. Il povero latino delle medie è un primo minimo mezzo di conoscenza della nostra storia. È perciò secondo me un errore voler abolire l’insegnamento del latino».
L a conoscenza del latino e del mondo classico serve anche per il futuro. Scrive Tullio De Mauro: «L’essere partecipi di una lingua e di una lingua di cultura, dunque di antica tradizione, è una vera rampa di lancio per le più innovative imprese del pensiero, e non solo delle creazioni letterarie». In Italia, la classicità fa parte della nostra cultura, del nostro paesaggio. Abbiamo moltissimi monumenti, che rischiano di non essere più compresi se non sono illuminati dalla tradizione classica. Monumentum deriva da moneo, che significa appunto far ricordare. Ora, se perdiamo la cultura e la tradizione che hanno costruito questi monumenti, essi rischiano di diventare mucchi di pietre o sassi o insieme di immagini incomprensibili nel loro vero valore. Così ad esempio la Colonna Traiana non direbbe più nulla della civiltà romana, non mi aiuterebbe più a comprendere l’uomo di quel tempo. Anche la lingua allora mi aiuta a entrare in una cultura. Diceva E. B.Taylor: «La cultura intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società ». In tal modo la cultura romana si presenta 'altra' rispetto alla nostra, uno spazio privilegiato di come si viveva diversamente da come viviamo noi e questo induce alla consapevolezza che vi sono molti modi di vivere e quindi porterebbe ad una maggior e tolleranza e comprensione tra diverse culture in questo mondo globalizzato.
Il latino dunque non può essere considerata lingua 'morta' solo perché non è più parlato correntemente: è morta solo quella lingua che oltre, a non essere è più parlata da nessuno, non lascia traccia nella cultura di un popolo. La lingua latina – bene insegnata – può offrire oggi un pre­zioso aiuto per diffondere e recuperare valori umani e civili radicati nel patrimonio culturale europeo, offrendo uno strumento linguistico per cogliere la natura universale delle cose. Se il latino lo si salva studiandolo bene e facendolo amare dagli allievi, allora avrà un senso gettar gettare un seme di latinità, perché ci farà scoprire l’uomo e le sue immense possibilità di futuro. Anche nell’era del computer ( computatorium nel latino moderno) il latino può essere un luogo di condivisione dei valori, utile per l’oggi e il domani. Dice un proverbio: «Quando uomini piccoli fanno ombre lunghe, il sole è basso all’orizzonte ». Ci auguriamo che sul latino non si distendano ombre lunghe, ma che il sole della cultura e dei valori sia sempre alto all’orizzonte.
*Preside decano della facoltà di Lettere cristiane e classiche dell’Università Pontificia Salesiana
«Avvenire» del 2 ottobre 2008

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