01 maggio 2009

Laici e credenti: così s’inventa una (falsa) opposizione

di Sergio Givone
Un equivoco di fondo pesa sulla questione della laicità. E impedisce di ragionarne in modo obiettivo, non fazioso. L’equivoco consiste nel ritenere che laico sia il contrario di religioso. E che laicità significhi irreligiosità, allo stesso modo in cui religiosità starebbe per non laicità. Laico sarebbe il non credente, lo spirito libero. Non laico sarebbe il credente, il cattolico, chiunque si riconosca in una determinata confessione religiosa. Donde il binomio oppositivo laici- cattolici che ormai è un dato di fatto se non peggio: un automatismo linguistico. Ma perché mai? E dire che basterebbe dare un’occhiata alla storia per capire che le cose stanno diversamente. Per i Greci laikòs è colui che si reca al tempio e si dispone ad ascoltare quel che gli dei hanno da comunicargli, libero poi costui di accogliere o di rifiutare i contenuti di quei messaggi. Lo stesso accadrà con il cristianesimo. Nelle nostre chiese, dove un tempo l’iconostasi divideva lo spazio profano e lo spazio sacro, nello spazio profano stavano i laici: anch’essi interpellati dalla parola divina, che veniva proposta, non imposta, tant’è vero che aver fede significava ( e significa tuttora) affidarsi a quella parola, tenerla per vera, corrispondere e dire di sì ad essa. Un sì che nessuno può obbligare a dire. E che bisogna ribadire ( o non ribadire) liberamente in ogni istante della propria vita.
Insomma, laicità è tutt’uno con libertà e da questo punto di vista hanno perfettamente ragione coloro che identificano i due termini. Ma non si vede perché laicità debba essere un attributo dei non credenti e non anche dei credenti, visto che i credenti esattamente come i non credenti fondano sulla libertà le loro scelte, la loro etica, il loro modo di essere. La contrapposizione di laici e cattolici proprio non regge. I laici non stanno in opposizione al religioso. Stanno di fronte al religioso. E questo vale sia per i credenti sia per non credenti, entrambi chiamati a misurarsi con esso e a consentire o a dissentire. In piena libertà. Solo riconoscendo che la libertà è cosa che appartiene allo stesso titolo sia ai credenti sia ai non credenti, è possibile avviare una discussione che non si riduca a scontro settario e ideologico. Da questo punto di vista, contrapporre quelle che sarebbero concezioni della vita diverse e irriducibili, da una parte la prospettiva agnostica e dall’altra la morale cattolica, appare poco produttivo. Una volta che si è stabilita l’equazione: laicità uguale libertà, allora può accadere, come di fatto accade, che il credente possa in certi casi sposare le ragioni del non credente, senza abdicare alla propria fede ma appellandosi alla sua coscienza, che è quella che ha l’ultima parola.
Naturalmente vale la reciprocità. Infatti ci sono stati e ci sono non credenti che su temi di importanza capitale hanno riconosciuto legittime le preoccupazioni dei credenti. Le concezioni della vita non sono gabbie d’acciaio fatte per imprigionare. Sono piuttosto orizzonti in movimento, che l’esercizio della libertà o se si vuole della laicità aiuta a rendere sempre più aperti e comprensivi. E magari a fondere gli uni con gli altri, in nome di quel rispetto reciproco e di quella dignità che rappresentano il bene più prezioso.
«Avvenire» del 27 febbraio 2009

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