06 maggio 2009

Shakespeare, Kafka, Beckett: tre miti per capire il mondo

Incapacità di decidere, agire e darsi uno scopo: i temi di «Hamletica» in uscita da Adelphi
di Armando Torno
Il mondo stava per finire, perché l' insieme delle immagini prodotte dall' umanità avrebbe presto superato il numero delle creature viventi L' analisi di Cacciari sul «brancolamento» dell' uomo d' oggi Il ruolo di Amleto È il politico «costretto a obbedire alla logica dei fatti», che si dibatte nel dubbio e «marchia ogni sua azione di incompiutezza»
Chi era Amleto? Per noi fu il principe di Danimarca, testimoniato nel dramma dall' omonima tragedia di Shakespeare. Tuttavia, chi volesse cercarne le origini rischierebbe di perdersi in un labirinto medievale. Ecco il nome, per limitarci a qualche esempio, nelle gesta di Re Horn (siamo intorno al 1250); ed eccolo in un documento irlandese, gli Annals of the Four Masters. Nella seconda parte dell' Edda si attesta una saga islandese di Amlodhi o Amled della fine del X secolo. Massimo Cacciari nella sua nuova opera, Hamletica (Adelphi, pp. 144, 18), offre una soluzione per i nostri giorni: Amleto vive il dramma dei politici. Come dargli torto? Del resto, allorché nell' opera di Shakespeare dichiara all' ombra del padre di essere «prigioniero delle circostanze e della passione» (così i meglio informati traducono quel lapsed in time and passion nella quarta scena del terzo atto), la sua figura riflette i problemi della categoria di cui ha cominciato a far parte. Cacciari, però, non ha scritto un' esegesi delle dichiarazioni del principe: in Hamletica ha riunito i tre grandi miti dell' «ontologica insicurezza» dell' Occidente contemporaneo, osservandoli - oltre che in Shakespeare - in Kafka e Beckett. Essi consentono di comprendere e decifrare il «brancolamento» attuale della Terra e il tramonto di ogni Nomos, di tutte le leggi che hanno caratterizzato i ruoli, le immagini, i linguaggi. Se Amleto - profetica anticipazione di quanto viviamo - ora è il politico «costretto a obbedire alla logica dei fatti», che si dibatte nel dubbio e «marchia ogni sua azione di incompiutezza», l'agrimensore K., il protagonista de Il castello, rivela l' uomo che non ha più possibilità di azione. Su di lui i fatti pesano. È lo straniero nel quale l' agire «si manifesta così perfettamente prigioniero dell' ordine dei fatti da rendere inconcepibile il timbro stesso della decisione». E Beckett? Egli mostra l' azione priva di qualunque fine, che ripete se stessa, senza uno scopo. Perché? Per comprendere quanto sta accadendo si può cominciare da una intuizione di Bonnefoy, consegnata a uno dei Racconti in sogno (edizioni Egea), dove si immagina l' artista dell' ultimo giorno: «Il mondo stava per finire», scrive il poeta francese, giacché «l' insieme delle immagini prodotte dall' umanità avrebbe superato il numero delle creature viventi». Succede insomma che l' equilibrio tra la vita e il sembrare dei segni potrebbe spezzarsi e non ci sarà ritorno, poiché - sottolinea Cacciari - le immagini stanno compiendo il proprio destino: «Sommergere la vita, trasporre il mondo nel multiverso dei linguaggi». Già, i linguaggi. Credevano di spiegarlo e possederlo questo nostro mondo. E cosa può fare l' artista dell' ultimo giorno? Trattiene la mano, la sua opera è indugio; cerca, sperimenta, vuole purificare l' immagine affinché cessi di essere «la rivale illecita di ciò che esiste». Si dibatte, spinge la parola al silenzio, infine potrebbe assumersi il compito di «farla finita». Il mondo reale e il suo «illecito rivale», forse a loro volta apparenze, lasciano allora spazio a infinite domande. Ne scegliamo una, tra quelle formulate da Cacciari: «Si risveglierà il nauseante gioco delle rappresentazioni, magari nella forma della dissacrante ironia?». Beckett non è la risposta ma si presenta, collocandosi oltre l' artista dell' ultimo giorno. Per lui questo significa «oltre Joyce» (ma è un «oltre» che suona come l' opposto di «oltrepassare», giacché «ora è possibile procedere solo ritirandosi»). Cacciari ricompone in Hamletica un tormentato dialogo a frammenti tra questi autori. Nelle sue pagine proseguono le ricerche sulla storia consegnate a Geofilosofia dell' Europa e all' Arcipelago, nonché a quelle sul rapporto tra nihilismo e linguaggio del mistico che sono il filo rosso in Dell' inizio e Della cosa ultima. Bergson, riprendendo un' antica intuizione, scrisse che un uomo con gli abiti del comico può dirci che c' è la nebbia, mentre il poeta racconta cosa c' è oltre di essa. Cacciari, tra i molti scenari esaminati, ci ricorda che l' esito possibile delle situazioni delineate è il comico.
«Corriere della Sera» del 5 maggio 2009

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