30 giugno 2009

Scapigliati o soltanto bohémiens?

A Palazzo Reale si è aperta la più esaustiva rassegna mai allestita sul gruppo lombardo unito dal rifiuto dell’accademismo
di Andrea Beolchi
Il 5 maggio 1881, alla presenza della famiglia reale, si apre solennemente a Milano l’Esposizione nazionale dell’industria, dell’artigianato e del commercio italiani; presso l’Archivio di Stato viene allestita la sezione dedicata alle belle arti. Non vi sono invitati, naturalmente, quei giovani 'scapigliati' che mal s’acconciano col lustro della corona di 'capitale morale' del neonato Stato unitario che comincia a calzar bene sul capo della città lombarda. Di lì a pochi giorni la risposta, in stile rigorosamente antiretorico, da parte degli estromessi: una pirotecnica «Indisposizione di belle arti», promossa dalla Famiglia Artistica, il cui catalogo lascia pregustare – e del resto erano proprio loro che, più che 'scapigliati' o 'bohème', preferivano farsi chiamare 'avveniristi' – certi nonsense antiborghesi di marca surrealista («Tutte le persone», avverte infatti il Libro d’oro, per chi visita la famosa Indisposizione di Belle Arti, «dovranno depositare nel luogo a ciò destinato le loro ombre, onde evitare il soverchio affollamento»).
Ma chi sono questi 'scapigliati', da dove vengono, che cosa vogliono, e, soprattutto, da che cosa li si riconosce? La grande mostra (verrebbe da dire enciclopedica) curata da AnniePaule Quinsac mette ordine in un quadro complesso e, sul fronte delle arti visive, ancora di là da essere definitivamente composto.
Fra i prodromi, che hanno nel Piccio – in particolare quello tutto luce-colore degli anni Cinquanta-Sessanta – il nume tutelare, prima ancora del precursore storico che fu Federico Faruffini, e i postumi, tra cui quelle straordinarie sculture fatte d’atmosfera di Medardo Rosso di cui vengono esposti alcuni esempi superbi (due su tutti: Enfant au sein, del 1892, e Conversazione in giardino, del 1896-97), si estende infatti un vasto territorio, tutt’altro che omogeneo, che sotto un solo nome, quello appunto di 'Scapigliatura' (fu Cleto Arrighi a calzarlo per la prima volta, nel 1857, su quegli artisti «irrequieti, turbolenti, che si radunano in una casta sui generis, distinta da tutte le altre, pandemonio del secolo, serbatoio del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti »), raduna in realtà anime distinte, l’una più marcatamente bohème, che divide il proprio campo d’azione, in quella che già s’annuncia «la città che sale», tra gli abbaini e le osterie; l’altra più socialmente impegnata e 'democratica', l’altra ancora a un passo dal verismo con intonazioni pre-decadenti, l’altra (e forse non l’ultima) fieramente positivista. Sul fronte delle arti visive hanno in comune, però, oltre a un’innata idiosincrasia per l’accademismo in tutte le sue forme, la pratica di quella tecnica sfumata che ha per padri Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, che insieme con Giuseppe Grandi formano negli anni Sessanta il terzetto di testa della volata scapigliata.
Se infatti fu proprio il Ranzoni (lo annota la curatrice nel suo saggio in catalogo, edito da Marsilio) sullo scoccare degli anni Settanta, col suo Ritratto di donna Maria Greppi Paduli, a convertire «le velleità scapigliate in uno stile, impostato sull’abolizione dei contours e sulla resa delle forme in uno sfumato che si fa trascrizione del sentimento», spettò a Cremona (che ha dalla sua, peraltro, la paternità di quel 'non finito' che diverrà un marchio dell’estetica scapigliata) il ruolo di anima trainante del gruppo, il quale fu detto per l’appunto dei 'cremoniani'; toccò infine a Giuseppe Grandi – l’autore del Monumento alle Cinque giornate di Milano è probabilmente una delle sorprese meno prevedibili della rassegna: penso alla sua Pleureuse e allo Studio di figura femminile del ’75 – fornire un contributo Luigi Conconi, «Coppia danzante» (acquarello, 1888) decisivo, e non soltanto per la storia della Scapigliatura, ma per quella visione nuova che apre al Novecento, portando nella scultura (e per questo Medardo Rosso lo dirà «artista da venerare») la rinnovata definizione luminosa della forma che Cremona e Ranzoni avevano consolidato sul fronte della pittura.
Morto poi nel ’78 Tranquillo Cremona, toccherà alla ' Famiglia Artistica' fondata nel ’73 da Vespasiano Bignami far da timoniere, e di fatto d’ora innanzi le due vicende, degli scapigliati e della Famiglia Artistica, diventano una storia sola.
La mostra registra tutto – doverosamente, anche il giovane Segantini del 'paesaggio urbano', il Morbelli e il Previati pre-divisionisti, ma anche il potente esistenzialismo, 'giacomettiano' ante litteram, di Filippo Franzoni, con quella piccola straordinaria tela che è la Paolina del 1890-95 –, cogliendo pienamente l’obiettivo di delineare della Scapigliatura un profilo a oggi sicuramente il più completo, pur correndo il rischio di mettere alla prova un pubblico dal gusto generalmente più avvezzo ad altra pittura, che proprio allora, in quei 'formidabili' anni Settanta, come si sa non era di casa in Italia. Ma questa è un’altra storia.
Milano, Palazzo Reale, Scapigliatura: un 'pandemonio' per cambiare l’arte, fino al 22 novembre
«Avvenire» del 30 giugno 2009

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