30 luglio 2009

L’epica della terra sacra

Il nuovo romanzo di Michael D. O’Brien, autore del bestseller «Il Nemico», sulle sofferenze della Croazia, da Tito ai nostri giorni
Di Fabrizio Rossi
Tre anni di ricerche. Un an­no per scriverlo. C’è un lungo lavoro alle spalle de L’isola del mondo, il nuovo ro­manzo di Michael D. O’Brien, lo scrittore e pittore canadese au­tore dei bestseller Il Nemico e Il Libraio. Pubblicato in questi giorni dalla San Paolo, nella tra­duzione di Edoardo Rialti, L’isola del mondo ( pp. 848, euro 26) rac­conta l’avventurosa vita del poe­ta croato Josip Lasta. Un viaggio fisico e spirituale, dal vecchio continente al nuovo mondo.
Dall’armonia del villaggio in cui Josip nasce nel 1933, educato al­la fede cattolica da genitori e­semplari, al caos della seconda guerra mondiale e dell’avvento al potere di Tito. Scampato per miracolo alla violenza delle ban­de partigiane, che in poche ore gli strappano tutto ciò che ha di più caro, Josip inizia un lungo pellegrinaggio che lo porterà ol­treoceano, per poi tornare a casa e ritrovare quello che sembrava perduto. Fino a scoprire che, an­che nel male più estremo, c’è sempre la possibilità di conser­vare il proprio volto.
Davanti a una tazza di caffè a­mericano, l’autore stesso ci pre­senta il suo romanzo.
Perché ha scelto di raccontare le sofferenze del popolo croato?
« Per la loro dimensione profeti­ca. Questo popolo cattolico ha ricevuto attacchi in ogni epoca e ha dovuto difendere la sua iden­tità. Riuscendo a preservare la propria fede anche nelle situa­zioni più ostili, come il regime comunista di Tito. In questo senso rappresenta la battaglia che riguarda ogni cre­dente contro la forza del­l’ideologia in tutti i tem­pi » .
Ricostruire le vicende dell’ultimo secolo in questa regione non deve essere stato semplice…
« Da subito, mi sono scontrato con diverse memorie in lotta tra loro: la versione comunista, quella dei nazionalisti serbi, quella degli storici cattolici croati. È stato un lavoro minuzioso e corale: un grosso aiuto m’è venuto dalle te­stimonianze di sopravvissuti ser­bi e croati emigrati in Canada, che m’hanno confermato molti fatti negati dalla versione ufficia­le. Anche perché, vista l’impor­tanza strategica dei Balcani dal punto di vista politico, economi­co e religioso, è ancora in corso una guerra di propaganda. Dove, a farne le spese, è la dignità delle persone e il loro diritto di scopri­re la verità » .
Come può un popolo conserva­re la sua identità, contro tutte le forze che cercano di cancellarla?
« È la questione urgente che ho cercato di esplorare. Andando al cuore del romanzo, potremmo tradurla così: come può una per­sona restare tale, preservando la sua dignità, in circostanze radi­calmente disumane? Credo che l’unico modo sia approfondire la propria identità spirituale in Cri­sto. È Lui a dirci chi siamo dav­vero e quanto valiamo, e solo la Chiesa può comunicarcelo. L’i­deologia, al contrario, in nome dell’umanità distrugge il singo­lo » .
Come ricorda Benedetto XVI nell’ultima enciclica: « L’umane­simo che esclude Dio è un uma­nesimo disumano » …
« La creazione di una società giu­sta può solo venire dal rispetto per la dignità e il valore di ogni vita. Anche quando questa di­gnità è calpestata, l’uomo deve tenere davanti agli occhi la visio­ne che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. È ciò che permette di restare uomini in qualunque situazione» .
È quel che emerge nei capitoli ambientati a Goli Otok, l’ « Isola Calva » della Croazia trasforma­ta da Tito in campo di concen­tramento.
« Il male e le ideologie feriscono l’umanità. Il cuore di ogni ideo­logia è sempre antropologico, contiene una concezione del­l’uomo. L’ideologia materialisti­ca, qualunque forma assuma, nega il significato intero della persona, riducendola al compo­nente di un meccanismo. Pur non esistendo più i regimi del Novecento, quest’ideologia è an­cora viva » .
In che forma?
« Pensi al nostro Occidente mate­rialista, dove s’introducono a­borto e eutanasia con il pretesto di difendere la libertà dell’uomo. Ecco la frattura: si difende l’u­manità, ma al tempo stesso si condanna una parte di essa ad una morte ingiusta. E lo si fa in nome dell’umanesimo. È un nuovo totalitarismo: molto soft, senza lager, ma estremamente potente. Davanti a tutto ciò noi cristiani non possiamo scendere a compromessi: siamo chiamati ad essere, come Gesù stesso, un segno di contraddizione. Un se­gno di verità e carità davanti al male. È l’unica via per resistere alle forze disumanizzanti del­l’ordine mondiale».
Certe pagine del suo romanzo riecheggiano Solzenicyn, quan­do nel discorso ad Harvard nel 1978 metteva in guardia l’Occi­dente da un’ideologia ancor più subdola di quella al potere in Urss…
«Non è un caso. Solzenicyn at­taccava la debolezza dell’Occi­dente davanti all’espansionismo sovietico. Ma la sua critica scen­deva più in profondità: era rivol­ta contro la perdita di carattere morale dell’Occidente. Ecco il problema. Per questo, davanti alle sfide della nostra epoca, dobbiamo riscoprire le nostre radici. È una rivoluzione interio­re, che coinvolge l’anima e il cuore di ciascuno. Dove l’arma che abbiamo, come per Josip, è una sola: il desiderio di conosce­re il vero».
"Avvenire" del 22 luglio 2009

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