28 luglio 2009

Moratoria sull'aborto nel mondo

In Parlamento una boccata d'aria fresca
di Marina Corradi
L’approvazione alla Camera della mozione per una moratoria in­ternazionale dell’aborto inteso come strumento di controllo demografico ap­pare, nel quadro ristretto e spesso pro­vinciale della politica italiana, come un raro momento di più ampio respiro po­litico. L’Italia promuoverà presso le Na­zioni Unite una risoluzione che con­danni l’aborto obbligato: quello mas­sicciamente utilizzato nel Terzo mondo per controllare le nascite, quello selet­tivo che in Cina, in India e altrove can­cella milioni di figlie femmine.
È l’aborto 'costretto' dunque, l’aborto 'imposto' alle donne povere da bruta­li politiche di pianificazione demogra­fica, nell’obiettivo della mozione del Parlamento. Si è cercata una sorta di mi­nimo comune denominatore etico. Per­ché, come ha sintetizzato Rocco Butti­glione, su questi temi ci si continua a dividere fra chi è per la vita e chi è per la libera scelta delle donne; ed 'è ora in­vece di combattere insieme chi nel mondo è sia contro la vita, che contro la libertà delle donne'.
Il principio insomma - la stessa mozio­ne sarà portata al Parlamento europeo - di una battaglia contro una poderosa ingiustizia che si compie ogni giorno in tutti i continenti, nel silenzio distratto o impotente o connivente del conses­so internazionale. Si sa perfettamente, da anni, delle politiche demografiche in Cina. Si sa che in larga parte dell’A­sia l’avvento – con un ritardo di trent’an­ni sull’Occidente – delle ecografie pre­natali ha fatto scaturire una nuova spie­tata selezione dei nascituri: se è fem­mina, spesso la bambina viene aborti­ta. Si sa anche che questo provocherà fra vent’anni squilibri seri nella composi­zione demografica di quei paesi: man­cheranno le donne, e non è immagina­bile cosa questa mancanza a sua volta genererà.
A fronte di una questione di queste pro­porzioni prevale tuttavia a livello inter­nazionale il silenzio. Nell’ansia del con­trollo delle nascite perseguito da molti dei grandi organismi internazionali, l’a­borto imposto appare quasi, senza che si osi dirlo apertamente, come l’inevi­tabile applicazione di una necessaria ragion di Stato. Il che è, evidentemen­te, intollerabile. Sul piano dell’umanità, della giustizia ma anche di quella libertà delle donne tanto sostenuta dai pro­choiche.
Di qui la intuizione della mozione: tro­vare una minima comune intesa anche con gli abituali avversari sul tema. Di­fendere almeno un elementare princi­pio: anche chi è a favore dell’aborto non può non essere contro l’aborto imposto, o la selezione dei nascituri. E l’opera­zione, alla Camera, è riuscita; anche se il voto favorevole avrebbe potuto, cre­diamo, essere più corale, e superare per una volta i consueti steccati. Era l’oc­casione per dire insieme, fra le mille pa­role non sempre essenziali del dibatti­to politico italiano, una cosa forte e chia­ra: l’aborto costretto, l’aborto selettivo, sono cose che non possiamo accettare. Sono le scelte indotte da uno 'sviluppo' disumano, che ripugna a una società democratica. Sarebbe stato bello se fos­se stata, quella da Montecitorio, per u­na volta una voce unanime, senza di­stinguo, senza sfilamenti ideologici. Ma tant’è: la mozione è comunque passa­ta, andando ben oltre gli schieramenti. E proseguirà per la sua strada, sfidan­do il generale silenzio acquiescente nel­le alte sfere della politica internaziona­le.
Nel cortile angusto che appare spesso il dialogo in Parlamento, una boccata d’ossigeno, uno sguardo che guarda più lontano. La volontà e l’orgoglio di indi­care, fra le ingiustizie, una delle più grandi e vere, anche se nessuna teleca­mera ce la mostra. La selezione e la can­cellazione dei figli dei poveri, consu­mata nella distratta indifferenza dei paesi civili, dei ricchi - di quelli che si vantano, a casa loro, della 'libera scel­ta' delle donne.
"Avvenire" del 16 luglio 2009

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