20 agosto 2009

Investire sull’educazione per battere le dipendenze

Droga e alcol continuano a guadagnare proseliti fra i giorvani
di Chino Pezzoli
Con l’estate il consumo di stupefacenti innaffiati dal mosto è visibile, visibilissimo. Al mare e in montagna, nelle città semideserte e nei paesi c’è chi spaccia droga e chi la consuma, in un mercato che non conosce crisi. E i rave party, come testimoniano i fatti di questi giorni, sono il rito estremo di un’aggregazione che porta, insieme allo sballo, la morte. La diffusione e assunzione di sostanze d’ogni tipo pone agli educatori una domanda: come controllare la mentalità che considera la droga una condizione sociale inevitabile? Le evidenze scientifiche invitano a rifiutare l’idea di poter convivere, in modo 'normale', con le droghe. Il consumo da parte degli adolescenti e giovani non dev’essere considerato con leggerezza: chi ha fumato marijuana per alcuni mesi, o provato la cocaina e l’ecstasy in modo episodico, mantiene una sorta di 'memoria biologica' che lo lascia in una condizione di pericolo.
Sono più a rischio bambini che ricercano sensazioni forti ( novelty seeking ), palesano minor controllo comportamentale, bassa autostima, difficoltà di adattamento e scarso supporto dei genitori. Questi ed altri fattori, rilevabili prima dell’assunzione delle droghe, ci fanno capire che la scelta della droga non è occasionale o riconducibile all’ambiente, al gruppo di amici. Ad esporsi alle droghe per sperimentarle, anche in modo ricreazionale, sono per la maggior parte gli adolescenti che 'non stanno bene con se stessi'. A continuare l’assunzione, sviluppando dipendenza o abuso, sono individui che presentano problematiche psicologiche, disturbi di personalità tali da condizionare un ricorso permanente a sostanze in qualche modo attive per la percezione del proprio sé. Le sostanze d’abuso funzionano come 'trappole', in particolare in quei ragazzi vulnerabili, incapaci d’affrontare le difficoltà personali. Così pure gli stupefacenti funzionano da 'trappole' in quei ragazzi asociali che trovano difficoltà in famiglia, nella scuola e si associano a coetanei devianti. Tutti questi elementi concorrono a un aumento del rischio che in certi casi prescinde dalle scelte educative della famiglia. S’impone perciò l’assunzione di un impegno esteso che veda genitori, insegnanti e educatori ed istituzioni pubbliche tese alla tutela e educazione dei bambini e degli adolescenti.
L’educazione non può essere lasciata al caso. L’impegno a combattere la dipendenza da sostanze stupefacenti e alcoliche va esteso soprattutto alle famiglie affinché non restino isolate e non si vergognino di entrare in contatto con i servizi e le istituzioni, per offrire ai figli relazioni educative forti, capaci di curare le dipendenze. Così pure la scuola proponga costantemente strategie e contenuti per la formazione della persona, valorizzando le discipline che hanno in sé straordinarie risorse formative (penso all’ora di religione) e quegli elementi umani e socio-morali su cui si possono fondare i progetti di educazione alla salute. Recenti ricerche hanno dimostrato che investire risorse nella prevenzione non significa affatto disperderle. La prevenzione attuata nelle agenzie educative ha dato risultati significativi attraverso metodologie e progetti gestiti dagli insegnanti e dalla comunità educante. Purtroppo, il rischio dell’improvvisazione e degli interventi occasionali educativi c’è. Per operare in modo continuativo e sistematico con i ragazzi occorre utilizzare alcune linee-guida, frutto della ricerca, delle esperienze innovative valutate per misurare i risultati effettivi. La prevenzione è indispensabile e urgente. C’è la necessità, in primo luogo, che genitori e educatori si rendano consapevoli dell’urgenza di questi interventi per superare una mentalità tollerante che porta ad accettare di convivere con le droghe. Le informazioni devono essere offerte anche ai giovani il più precocemente possibile, ma ponendo l’attenzione al fatto che le conseguenze negative siano presentate nel clima formativo e non in un arido quadro di 'drammatizzazione' che non propone alternative costruttive.
«Avvenire» del 18 agosto 2009

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