30 agosto 2009

Vecchie pieghe al nostro pensiero sulla scuola

Della società, non dello stato
di Giuseppe Dalla Torre
Le recenti polemiche sull’ora di reli­gione hanno evidenziato, ancora u­na volta, quanto siano diffusi certi sin­golari modi di concepire la scuola 'pub­blica'.
Uno di questi attiene al rapporto tra Sta­to, scuola e società civile. Si parla spes­so, infatti, di scuola statale intenden­dola – forse non del tutto lucidamente – come apparato attraverso il quale lo Stato modella la società nelle sue più giovani generazioni. Siffatto modo di concepire la scuola pubblica ha radici nella nostra storia. In effetti, nell’età po­st- risorgimentale, quando realizzata l’I­talia si dovevano formare gli italiani, la scuola statale fu l’apparato attraverso il quale la classe sociale che aveva fatto il Risorgimento cercò, tra l’altro, di mo­dificare la cultura dominante nelle mas­se popolari, tradizionalmente cattoli­che, per orientarla piuttosto nel senso di un’ideologia laica. Si pensi solo alla lettura per eccellenza, e di tanto suc­cesso, delle prime classi scolastiche: il Cuore di De Amicis. Ebbene, in questo testo, pure di buona letteratura, di ec­cellenti sentimenti, di ispirati valori ci­vici e morali, che raffigura nei partico­lari la vita quotidiana dell’'Italietta', si parla di tutto, ma non c’è mai un riferi­mento a Dio, alla religione, alla Chiesa; passano reggimenti con la bandiera na­zionale, di fronte alla quale si invitano i piccoli astanti a togliersi il copricapo, ma non passano mai processioni o fu­nerali religiosi; si parla dell’aula, e del suo arredo, dove insegnava la maestri­na dalla penna rossa, ma non si fa mai cenno al crocifisso che pure era appe­so sul muro alle sue spalle.
Ora, è davvero singolare questa rap­presentazione dell’Italia del secondo Ottocento, da cui religione e cattolice­simo, assolutamente dominanti nella vita pubblica e sociale, sono del tutto silenziati e ignorati. Lo stesso potrebbe dirsi per il capolavoro di Collodi, Pi­nocchio; e la giusta osservazione se­condo cui dietro la morale laica del rac­conto è tutta l’anima cattolica dell’Ita­lia altro non è, a ben vedere, che il «per­ché non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce.
Si tratta dunque di una letteratura tal­mente lontana dalla realtà, da indurre a pensare che ci fosse una volontà di modificare, attraverso di essa, senti­menti e cultura dominanti.
Poi venne il fascismo, ed a maggior ra­gione la scuola statale divenne luogo privilegiato di indottrinamento e di ma­nipolazione delle intelligenze, nel con­testo di una più generale politica del re­gime diretta ad educare verso l’ideolo­gia dominante. È singolare che, nonostante l’avvento della Repubblica e della sua Carta co­stituzionale, quel modo di concepire la scuola di tanto in tanto riaffiori. La Co­stituzione, infatti, con i suoi principi del personalismo e del pluralismo, con il suo orientamento degli apparati pub­blici secondo criteri di sussidiarietà, con la sua valorizzazione della società civi­le, postulerebbe un pensare diverso. Nella misura in cui lo Stato è a servizio della società civile, e non viceversa, la scuola statale dovrebbe essere appara­to formativo a servizio della società ci­vile e non il contrario. La scuola è di Sta­to perché dallo Stato è istituita e man­tenuta, ma è la casa della società civile, in cui questa forma le più giovani ge­nerazioni. Ad eccezione dei valori e principi costituzionali, che fondano il vivere insieme, lo Stato non ha un suo pensiero al quale indottrinare, lascian­do che nella sua scuola si rifletta la so­cietà civile nella sua realtà e comples­sità.
Se ci si pone in questa prospettiva, an­che la questione della laicità dello Sta­to, risollevata nelle polemiche sull’ora di religione, acquista un differente pro­filo. Perché laico è certamente lo Stato, che non ha una religione od una ideo­logia da imporre ai consociati; ma laica non è la società civile, nella quale la re­ligione è e si esprime pubblicamente
«Avvenire» del 25 agosto 2009

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