07 settembre 2009

Donne: le signore della vita nella Bibbia

La nuova alleanza è nata meticcia nel nome della madre
di Erri De Luca
Rachele e Lia: sorelle che si conquistano il loro spazio a prezzo di dure prove.
Tamar o Betsabea: divenute antenate di Cristo grazie a raggiri al limite della morale. Sara e Agar: protagoniste di un conflitto mortale, eppure genitrici di popoli eletti. E poi Giuditta, Elkana...
Il posto delle donne nella storia sacra risulta spesso da una conquista ottenuta al limite delle convenzioni sociali, ma con fede assoluta
Nella lingua ebraica, matrice prima della rivelazione monoteista, è stabilita una marcata divisione tra genere maschile e femminile. Non solo nei sostantivi e negli aggettivi, come da noi, ma pure dentro i verbi, che hanno formule diverse se applicate alla donna o all’uomo. Il comandamento «Non ammazzare», in ebraico «Tu non ammazzerai», è rivolto a un tu maschile, e così tutti gli altri articoli. Le donne possono fare a meno delle tavole della legge? No, la divinità si rivolge a un tu maschile per affidargli il compito di conservare e tramandare la notizia sacra. L’uomo è un cancelliere che trascrive atti e parole della divinità. Maschio in ebraico si dice «zahàr» (acca molto aspirata), parola che viene dal verbo ricordare. La funzione del maschile è custodire e trasmettere la vita seconda, che è la parola sacra. La vita prima, mettere al mondo figli e rinnovare la specie, è competenza strettamente femminile. L’ambito delle nascite è sotto il loro pieno controllo. Un lettore di Scrittura sacra si stupisce a leggere che il nome del primogenito del mondo, Caino, è dato da sua madre. Così è anche per il nome dei figli seguenti: e il capofamiglia Adàm? Lui che ha messo i nomi a tutti gli animali non può decidere quello dei suoi figli? No, anche quello spetta a Eva. Un lettore di Scrittura sacra si stupisce che Sara, moglie di Abramo, un giorno prende la sua schiava Agar e la infila nel letto del marito: per ricevere attraverso di lei un figlio, visto che il suo grembo tarda a schiudersi. Sara decide e dispone del seme di suo marito. Alle donne spettava governo della vita, della riproduzione, della fertilità. Gli uomini lavoravano e custodivano terra e parole sacre: bello che in ebraico i verbi siano gli stessi per le due opere. Quando la divinità deve convincere attraverso Mosè il popolo di Israele a lasciare l’Egitto, ricorre a dieci castighi contro i padroni di casa e a una sola lusinga verso gli ebrei schiavi. Non annuncia loro la libertà, parola e notizia che ignorano da quattrocento anni, ma promette: «Una terra che ha mestruo di latte e miele». Nelle traduzioni in circolazione non si legge questo verbo tipicamente femminile, ma in ebraico è quello del ciclo mensile della fertilità femminile. La divinità vuol dire che la terra promessa avrà la stessa prodigiosa fertilità della donna ebrea e produrrà abbondanza a ritmo di cicli femminili. Quel popolo, Israele, era entrato in Egitto contando poche decine di persone e nel giro di 400 anni aveva raggiunto gli effettivi seicentomila maschi. La fertilità delle donne ebree era leggendaria, un Faraone se ne preoccupa al punto di volerla controllare affogandone i neonati nel Nilo. Allora la divinità usa il verbo mensile delle donne, censurato dalle traduzioni, per commuovere e muovere alla partenza quel popolo di schiavi che ha scelto come suo portatore di parola. Per la potente nazione del tempo, l’Egitto, gli ebrei erano buoni solo come manovali di imprese edilizie, per la divinità erano i primogeniti della parola sacra. Quello che viene disprezzato in terra, trova misteriosi riscatti e controvalori appena più su dell’evidenza. La storia delle donne nella Scrittura sacra offre belle sorprese a chi per pregiudizio crede quello il libro di una divinità maschile e maschilista. Ecco la pagina di apertura del Nuovo Testamento: Matteo scrive l’elenco delle generazioni da Abramo a Gesù. Parte da Abramo perché è il primo circonciso della storia sacra, da lui comincia il patto inciso nella carne. È una lista formata da nomi maschili ma con la deliberata intrusione di cinque donne: Tamàr, Rahàv, Rut, Betsabea e infine Miriam/Maria, ragazza madre di Gesù. Tre di loro (Tamàr, Rahàv, Rut) non sono neanche ebree, ma hanno voluto essere madri in seno a Israele. Ecco che nella discendenza più preziosa, quella che passa per Davide re e dovrà sfociare nel Messìa, c’è sangue misto di popoli vicini. La storia sacra insegna così che pure il Messìa è meticcio, niente pedigree, niente purezza di sangue. Magnifica lezione sul valore della contaminazione, perciò grazie a Matteo per averla trasmessa in apertura della nuova alleanza, grazie di più alle donne che l’hanno dimostrata con la loro esistenza.
«Avvenire» del 6 settembre 2009

Nessun commento: