29 settembre 2009

Fede e ragione le due ali verso la verità

La sete di conoscenza dell’uomo spinge ogni generazione ad ampliare il concetto di ragione e ad abbeverarsi alle fonti della fede
di Benedetto XVI
Pubblichiamo ampi estratti del discorso ri­volto domenica 27 da Benedetto XVI al mon­do accademico durante l’incontro tenutosi nel Castello di Praga.
Il mondo accademico, sostenendo i valo­ri culturali e spirituali della società e in­sieme offrendo ad essi il proprio contri­buto, svolge il prezioso servizio di arricchire il patrimonio intellettuale della nazione e di fortificare le fondamenta del suo futuro svi­luppo. I grandi cambiamenti che venti anni fa trasformarono la società ceca furono cau­sati, non da ultimo, dai movimenti di rifor­ma che si originarono nelle università e nei circoli studenteschi. Quella ricerca di libertà ha continuato a guidare il lavoro degli stu­diosi: la loro diakonia alla verità è indispen­sabile al benessere di qualsiasi nazione.
Chi vi parla è stato un professore, attento al diritto della libertà accademica e alla re­sponsabilità per l’uso autentico della ragio­ne, ed ora è il Papa che, nel suo ruolo di pa­store, è riconosciuto come voce autorevole per la riflessione etica dell’umanità. Se è ve­ro che alcuni ritengono che le domande sol­levate dalla religione, dalla fede e dall’etica non abbiano posto nell’ambito della ragio­ne pubblica, tale visione non è per nulla e­vidente. La libertà che è alla base dell’eser­cizio della ragione – in una università come nella Chiesa – ha uno scopo preciso: essa è diretta alla ricerca della verità, e come tale e­sprime una dimensione propria del cristia­nesimo, che non per nulla ha portato alla na­scita dell’università. In verità, la sete di co­noscenza dell’uomo spinge ogni generazio­ne ad ampliare il concetto di ragione e ad abbeverarsi alle fonti della fede. (...) L’autonomia propria di una università, anzi di qualsiasi istituzione scolastica, trova significato nella capacità di rendersi re­sponsabile di fronte alla verità. Cionono­­stante, quell’autonomia può essere resa va­na in diversi modi. La grande tradizione for­mativa, aperta al trascendente, che è all’ori­gine delle università in tutta Europa, è stata sistematicamente sovvertita, qui in questa terra e altrove, dalla riduttiva ideologia del materialismo, dalla repressione della reli­gione e dall’oppressione dello spirito uma­no. Nel 1989, tuttavia, il mondo è stato testi­mone in maniera drammatica del rovescia­mento di una ideologia totalitaria fallita e del trionfo dello spirito umano.
L’anelito per la libertà e la verità è parte ina­lienabile della nostra comune umanità. Es­so non può mai essere eliminato e, come la storia ha dimostrato, può essere negato so­lo mettendo in pericolo l’umanità stessa. È a questo anelito che cercano di rispondere la fede religiosa, le varie arti, la filosofia, la teologia e le altre discipline scientifiche, cia­scuna col proprio metodo, sia sul piano di un’attenta riflessione che su quello di una buona prassi.
(...) Deve essere riguadagnata l’idea di una formazione integrale, basata sull’unità del­la conoscenza radicata nella verità. Ciò può contrastare la tendenza, così evidente nella società contemporanea, verso la frammen­tazione del sapere. Con la massiccia cresci­ta dell’informazione e della tecnologia nasce la tentazione di separare la ragione dalla ri­cerca della verità. La ragione però, una vol­ta separata dal fondamentale orientamento umano verso la verità, comincia a perdere la propria direzione. Essa finisce per inaridire o sotto la parvenza di modestia, quando si accontenta di ciò che è puramente parziale o provvisorio, oppure sotto l’apparenza di certezza, quando impone la resa alle richie­ste di quanti danno in maniera indiscrimi­nata uguale valore praticamente a tutto. Il relativismo che ne deriva genera un camuf­famento, dietro cui possono nascondersi nuove minacce all’autonomia delle istitu­zioni accademiche. (...) In questo contesto di una visione emi­nentemente umanistica della missione del­l’università, vorrei accennare brevemente al superamento di quella frattura tra scienza e religione che fu una preoccupazio­ne centrale del mio predecessore, il Papa Giovanni Paolo II.
Egli, come sapete, ha promosso una più piena comprensione della rela­zione tra fede e ragione, intese come le due ali con le quali lo spirito u­mano è innalzato alla contempla­zione della verità (cfr Fides et ratio, Proemio). L’una sostiene l’altra ed o­gnuna ha il suo proprio ambito di azione (c­fr ibid., 17), nonostante vi siano ancora quel­li che vorrebbero disgiungere l’una dall’altra. Coloro che propongono questa esclusione positivistica del divino dall’universalità del­la ragione non solo negano quella che è una delle più profonde convinzioni dei creden­ti: essi finiscono per contrastare proprio quel dialogo delle culture che loro stessi propon­gono. Una comprensione della ragione sor­da al divino, che relega le religioni nel regno delle subculture, è incapace di entrare in quel dialogo delle culture di cui il nostro mondo ha così urgente bisogno. Alla fine, la «fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, so­la, è garanzia di libertà» ( Caritas in veritate, 9).
«Avvenire» del 29 settembre 2009

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