17 settembre 2009

Hina e le altre ragazze uccise in nome della sharia. Boom di delitti d’onore

Pordenone come Gaza. Un rapporto europeo lancia l’allarme
di Giulio Meotti
Avevano appena iniziato a vivere, i familiari le hanno uccise. Hina Saleem venne sgozzata e sepolta nell’orto di casa, presso Brescia. Con la testa rivolta verso la Mecca e il corpo avvolto in un sudario. Hina aveva rifiutato un matrimonio forzato voluto dal padre. L’altroieri, a Pordenone, Sanaa Dafani è stata accoltellata a morte dal padre in un bosco, mentre era in compagnia del fidanzato, un italiano. Una relazione bandita dai suoi genitori di origini marocchine. Non si sa nemmeno quanti siano esattamente i delitti d’onore in Europa. In gergo islamico si chiama “Jarimat al Sharaf”. Spesso queste esecuzioni religiose vengono derubricate sotto la voce “violenza domestica”.
Nella moderna Istanbul, che preme per entrare in Europa, si conta un delitto d’onore a settimana. A Gaza dall’inizio dell’anno dieci donne sono state uccise in nome della sharia (una palestinese è stata sepolta viva dal padre). Accade anche in mezzo a noi, a Milano, a Parigi, a Berlino, a Londra. Il settimanale tedesco Der Spiegel scrive che almeno cinquanta donne musulmane in Germania sono state vittime di un delitto d’onore. A Londra almeno dodici ogni anno. A queste vanno aggiunte le “vergini suicide”, le ragazze che si tolgono la vita per sfuggire a un matrimonio forzato. A Derya, 17 anni, la sentenza di morte è arrivata via sms: “Hai infangato il nostro nome, ora o ti uccidi o ti ammazziamo noi”. In Europa risultano “scomparse” migliaia di ragazze musulmane, spesso cittadine europee. Ne spariscono decine al mese, tutte allo stesso modo: partono per un viaggio all’estero e sui banchi di scuola o sul posto di lavoro non tornano più. Downing Street stima che ogni anno avvengono tremila matrimoni forzati. In Francia 60mila adolescenti sono minacciate dai matrimoni forzati.
Un recente rapporto compilato dal Consiglio d’Europa e redatto dal parlamentare inglese John Austin avverte che “l’uccisione di donne da parte dei membri della famiglia per proteggere il loro ‘onore’ è più esteso in Europa di quanto si pensi”. Sono tante le “colpe” delle vittime dei delitti d’onore: il rifiuto di indossare il velo islamico, l’inclinazione a vestire all’occidentale, a frequentare amici cristiani (fino a convertirsi a un’altra fede) o avere amici non musulmani, la volontà di studiare o leggere libri “impuri”, di cercare il divorzio, di essere troppo “indipendente” o moderna. In Inghilterra Rukhsana Naz è stata uccisa perché aveva rifiutato un matrimonio combinato. In Svezia Fadime Sahindal è stata uccisa a colpi di pistola perché si era avvicinata alla cultura occidentale. All’inglese Heshu Yones hanno tagliato la gola perché aveva un fidanzato cristiano. “Troppo occidentale”, avevano detto della francese Sohane Benziane. E’ stata torturata e bruciata viva. Stessa fine per l’olandese Maja Bradaric, perché flirtava con un ragazzo su Internet. Una ventina di coltellate hanno spezzato la vita di Sahjda Bibi, anche lei aveva rifiutato un matrimonio forzato. In Germania Hatin Surucu è stata giustiziata con un colpo alla nuca perché si rifiutava di indossare il velo. Un’altra tedesca, Morsal Obeidi, di appena sedici anni, è stata uccisa perché “voleva essere troppo libera”.
Lo scorso luglio, nel cuore di Londra, c’è stato uno dei più feroci delitti d’onore. Alle due del mattino un gruppo di musulmani trascina per strada un ragazzo di origine asiatica proveniente dalla Danimarca. Lo pugnalano due volte alla schiena, lo colpiscono alla testa con dei mattoni, gli versano acido solforico sul corpo e in gola. La sua “colpa” era stata quella di frequentare una coetanea britannica di origini pachistane e di religione musulmana. La polizia ha evitato per miracolo che la ragazza subisse la stessa sorte. La stessa polizia che ogni anno tratta la “scomparsa” e la morte, in circostanze simili, di un centinaio di ragazze di religione islamica. Due anni fa, sempre a Londra, Mohammed Riaz, di origini pachistane, bruciò vive la moglie e le sue quattro figlie dopo averle chiuse in casa. Riaz trovava ripugnante il fatto che la figlia volesse diplomarsi o potesse rifiutare il matrimonio combinato. Ciò che lo spinse ad appiccare l’incendio, scrive il Telegraph, fu soprattutto il fatto che le donne avevano servito alcolici durante una festa per il figlio, malato di cancro terminale. E’ in questo mondo di sottomissione e fanatismo domestico, segnato spesso dall’escissione del clitoride, che germina l’odio islamista. Singolare che le vite di queste ragazze ci interessino quando è già troppo tardi.
«Il Foglio» del 16 settembre 2009

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