06 ottobre 2009

La favola di Eco: tutti gli scrittori di destra sono fascisti

di Massimiliano Parente
Quanto sarà furbo Umberto Eco: siccome da destra ha udito uno squillo di tromba, la parola «culturame», contro la solita minestrina organica di sinistra, a sinistra risponde uno squillo (di questi tempi forse anche una squillo) e l’Eco del fascismo taccia la destra di ignoranza. Senza fare nomi, per carità; elencando, piuttosto, gli intellettuali di destra ignorati dalla destra, una trappolina raffinata per dire che la destra è fascista. In verità Umberto Eco, teorico monomaniacale del fascismo mutante o fascismo eterno (chiamato «ur fascismo»), sta barando e vuole farvi fessi. L’«ur fascismo» va bene per tutte le epoche e tutte le stagioni, e quindi il professore, coltissimo, nella sua ultima Bustina di Minerva, sale in cattedra e cita tutti gli scrittori o intellettuali di destra che la destra potrebbe sfoggiare e non sfoggia (ma quando mai? Sono gli unici sempre citati perfino dai blog di Forza Nuova), e dunque ecco la bella carrellata di Mishima, Jünger, Céline, Pound, Heidegger, Guénon, Spengler, Gentile, Sedlmayr, De Maistre, e ci ha messo perfino Vintilia Horia, si è dimenticato Pierre Drieu La Rochelle, altrimenti l’album di famiglia era al completo, più o meno. Morale della favola: gli scrittori di «destra» sono quelli fascisti o assimilabili a una destra autoritaria, e la destra non li conosce. Gli altri sono tutti di sinistra. Sembra quasi vero, e infatti è il lavaggio del cervello che ha sempre tentato di fare il pensiero gramsciano in Italia, di fronte all’incontestabile grandezza dei geni non intruppati (non organici, appunto). Spesso e volentieri cercando di arruolarli da morti o, non riuscendoci, di ridurne la grandezza con la sociologia di Foucault e Sartre. Eco ammette che Dante, forse, era di destra e reazionario (l’ha detto a Benigni?), e tuttavia Giacomo Leopardi, secondo Eco, forse era di sinistra? Macché, così preso in pensieri assoluti e infiniti, ve lo immaginate tra le barricate del Quarantotto? O il secolo dopo nel Sessantotto? O quarant’anni dopo a Piazza del Popolo? Eppure Romano Luperini con il suo «Leopardi progressivo» e molti altri ci provarono a iscriverlo al Pci con un certo anticipo (e, come dimostra Mario Andrea Rigoni, con molta malizia nel tagliare i passi sconvenienti). È successo anche a William Shakespeare: gli hanno perfino dato del servo dei Tudor, del leccaculo di Elisabetta I. Kafka, per essere digerito a sinistra, è stato letto come un anticipatore dei campi di concentramento, un precursore di Primo Levi, così si sono inventati che Aspettando Godot di Samuel Beckett era una sorta di «aspettando la rivoluzione».
È evidente che nessuno, dei suddetti, si sarebbe infognato nella farsa della piazzata sulla libertà di stampa, e tra gli altri ve li immaginate Nietzsche, Voltaire, Flaubert, Joyce, Sterne, Cervantes firmare il ridicolo appello di Repubblica? E Marcel Proust, che già nella Recherche ridicolizza i maniaci dell’impegno e del sociale, e mentre oggi molti miei amici di sinistra non comprano Il Giornale perché di destra, lui, il più grande scrittore occidentale, comprava perfino «L’Action Française» senza problemi, «perché mi interessano gli articoli», e se ne sbatteva degli invasati comunisti, i quali ricambiavano accusandolo di aver scritto «un libro di duchesse per duchesse»? Ve lo immaginate Carlo Emilio Gadda lì, a Piazza del Popolo, già snobbato negli anni Cinquanta perché antifascista ma non comunista? E Fenoglio, il cui partigiano Johnny non andava bene perché non allineato, e al quale si preferiva la favoletta manichea degli Uomini e no di Elio Vittorini, che ancora oggi va per la maggiore a sinistra, dove esiste un elettorato «illuminato» di sinistra e non elettorato «manipolato» di destra?
«Il Giornale» del 6 ottobre 2009

1 commento:

Teo ha detto...

Quello che dice Eco è comunque inconfutabile. E il giornalista prima di citare dovrebbe documentarsi: il saggio Leopardi progressivo non è del critico Romano Luperini, ma del grande filosofo Cesare Luporini, il quale quando lo pubblicò, nel 1947, non aveva nessuna intenzione di iscrivere il poeta di Recanati al Pci con un certo anticipo, ma solo di mostrare le valenze utopiche del suo pensiero. È peraltro vero che lo stesso Luporini nel 1943 aderì al PCI, ma non fu mai dogmatico e tra l'altro era stato anche, cosa sorprendente, allievo di Gentile e Heidegger!