01 ottobre 2009

L’embrione, una persona

È giunto il momento di rilanciare la proposta di riconoscere la capacità giuridica ad ogni essere umano sin dal concepimento
di Carlo Casini
« C ome un individuo u­mano non sarebbe una persona umana?» Basterebbe questa domanda posta da Giovanni Paolo II al n. 60 dell’E­vangelium vitae a contrastare la tesi di Ivan Illich, secondo il quale «Le chiese, utilizzando il loro potere di creare miti consacrano una nozione astratta di vita umana», che porte­rebbe alla corruzione della fede cri­stiana. La tesi di Illich è già stata cri­ticata da Lucietta Scaraffia su l’Os­servatore Romano del 9 settembre scorso, ma credo opportuno mette­re a fuoco la questione con la lente di innumerevoli dibattiti sul tema del­la vita umana. L’accusa rivolta alle chiese deve essere rovesciata proprio verso la «cultura abortista» nella qua­le sono impronunciabili parole co­me «diritto alla vita fin dal concepi­mento » o definizioni dell’embrione come «individuo», «soggetto», «per­sona ». In non pochi filoni di questa cultura è presente, invece, «una no­zione astratta di vita umana» mitiz­zata con l’affermazione di una con­tinuità della sua evoluzione millena­ria per la quale, come non vi sarebbe soluzione di continuità tra vita vege- tale, animale ed umana, così non vi sarebbe distinzione tra uno sperma­tozoo e un embrione. In questa vi­sione si possono anche accettare, sebbene a malincuore, espressioni come «rispetto della vita» o «tutela della vita», supponendo, però, che la vita embrionale è qualcosa di inde­finibilmente generico e non quella di «un individuo vivente appartenente alla specie umana», cioè,– più sem­plicemente – di un uomo. Quando poi le argomentazioni di ragione e di scienza rendono incontestabile la te­si della individualità umana del con­cepito, allora la replica dell’aborti­smo è: «essere umano – dobbiamo concedere – ma non persona».
Dunque sul concetto di «persona» si accentra la radice di ogni discussio­ne. Ma registro non poca timidezza, anche da parte di chi fa riferimento all’antropologia cristiana, nell’usare il termine «persona». So bene che l’attribuzione di un significato con­venzionale alla parola – distinguen­do cioè l’uomo adulto e cosciente (i­poteticamente «persona») dall’uomo in quanto tale – non toglie teorica­mente forza al diritto alla vita che ap­partiene all’essere umano senza ul­teriori specificazioni, vecchio o gio­vane che sia, nato o non nato, quali­ficabile o no come «persona». Tutta­via la distinzione tra uomo e perso­na è estremamente pericolosa. In pri­mo luogo perché accetta il linguag­gio e l’inganno degli avversari. In se­condo luogo perché introduce una inaccettabile discriminazione sul­l’uomo violando il principio di e­guaglianza. Solo affermando che «persona» è l’altro nome dell’uomo, mai attribuibile agli animali, indica­tore di un valore che è intrinseco al­l’esistere umano, a prescindere da qualsiasi ulteriore qualità, è portata alle ultime conseguenze quella idea moderna e laica di «eguale dignità», che ha sconfitto la schiavitù, la di­scriminazione dei neri, la sudditan­za delle donne. A ben guardare l’ac­cusa di confessionalismo sempre ri­volta ai cattolici è respinta al mitten­te, solo se abbiamo il coraggio di chiamare «persona» l’embrione u­mano. È la pretesa di difendere una vita generica che ha il sapore del mi­to, ad offendere la laicità, non certo la laicissima proclamazione del prin­cipio di non discriminazione.
Si aggiunga che l’affermazione del concepito come individuo umano e quindi soggetto e persona non è un inutile accademico esercizio verbale. Anche nell’angoscia e nella solitudi­ne il coraggio materno può vincere. Ma il coraggio ha bisogno di una mo­tivazione ragionevole: il figlio è figlio, un bambino, una persona. Questa consapevolezza è assolutamente in­dispensabile nel momento in cui pil­lole di vario genere banalizzano e pri­vatizzano l’aborto. Battersi perché la Ru486 non sia usata in Italia e per ga­rantire l’obiezione di coscienza di medici e paramedici riguardo alla prescrizione e somministrazione del­la pillola del giorno dopo è cosa buo­na e doverosa, ma non riusciremo ad impedire, in Italia e all’estero l’ucci­sione chimica di una grande quantità di bambini non ancora nati. Basterà l’educazione? L’educazione è fatta anche dall’aria che si respira, dalle parole che si sentono, soprattutto da quella espressione di razionalità col­lettiva che è la legge. La legge non è soltanto comando. È, prima ancora, guida all’azione, bussola orientatrice, indicazione di valori. Se non ci fosse stata una lunga lotta per proclamare l’uguaglianza tra bianchi e neri ci sa­rebbe ancora l’apartheid.
Sono convinto che una strategia di alto profilo per difendere la vita de­ve affrontare il cuore di tutte le que­stioni. E deve investire anche il livel­lo politico-legislativo. L’ordinamen­to giuridico deve introdurre l’em­brione umano nell’ambito del dirit­to come un «uguale» cioè come un soggetto, una persona. Non è una ri­chiesta infondata. Essa è già stata ac­colta nella Convenzione americana dei Diritti umani del 1969 e in qual­che Costituzione latino-americana. In Italia a cominciare dal 1996 il Co­mitato Nazionale di Bioetica ci ha an­nunciato più volte: «Vi è il dovere mo­rale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono a­dottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comune­mente la caratteristica di persone». Non ho citato le ancora più forti pa­role della Dignitas personae di Bene­detto XVI. Ho riportato un testo di un organismo scientifico laico dello Sta­to italiano. Giuliano Ferrara ha lanciato l’idea di chiedere all’Onu una «moratoria sul­l’aborto », intesa come integrazione della Dichiarazione universale dei di­ritti dell’uomo affinché vi si indichi che il diritto alla vita appartiene an­che al concepito. La Camera dei De­putati ha recentemente votato una mozione per chiedere all’Onu che l’a­borto non sia considerato mezzo di controllo delle nascite.
Prima di chiedere agli altri, comin­ciamo ad agire in casa nostra. Fin dal 1995 il Movimento per la vita ha pre­sentato una proposta di legge popo­lare per includere tra le persone – ta­li considerate dal diritto – anche i concepiti.
È giunto il momento di rilanciarla. Quali Parlamentari e quali partiti vo­gliono rispondere a questo appello?
«Avvenire» del 1 ottobre 2009

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